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Appunti sparsi su qualunque argomento che potresti aver scritto anche tu. Ma, purtroppo per me, li scrivo io e li dedico a chi affronta la vita con un White Russian in mano sognando un mondo migliore. Ma poi ci ripensa perchè tanto, alla fine, il mondo è di chi si fa la foto sorreggendo la Torre di Pisa. E va bene così.

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Il Tempo imperfetto

di:

[… Intanto, Udama, che aveva assistito alla sparizione di Etana, allarmatosi, dopo un minuto in cui la paura lo pietrificò, salì sulla scala urlando il nome dell’amico, giunse al buco e, anche lui, vi si affacciò oltre e vide quello che poco più di due minuti prima aveva visto Etana e… e non ebbe il tempo di vedere altro perché una forza irresistibile lo risucchiò completamente attraverso il buco e vide solo luce, e poi buio, e poi si ritrovò come sott’acqua, e di nuovo buio e infine luce…].

Questa storia ha inizio là dove un’altra si avviava verso la fine. Quando i due “astrolonomi” Etana e Udama, inviati sulla Luna per rattoppare il Cielo, dopo giorni e poi settimane dalla loro partenza, non fecero ritorno nella città di Eridu, bassa Mesopotamia, la preoccupazione prese il sopravvento sulla speranza. E infine, all’alba del ventunesimo giorno dalla partenza dei due “astrolonomi”, il Re chiamò il Primo Servitore Reale.

– Fate immediatamente qui venire il Sommo Sacerdote Charb-Otti e il Fabbro Reale Gihan.

– Subito, o Grande Padre della Città di Eridu.

I due, ricevuta la convocazione reale, immediatamente si diressero verso il palazzo e, quasi alle porte della Grande Casa di Mattoni del Grande Padre della Città di Eridu, si incontrarono.

– Salve, Sommo Sacerdote.

– Salve a te, Fabbro Reale.

– … di quei due non c’è più traccia…

– … già… ma tu pensi che ormai… che insomma, sono…?

– Solo gli dèi lo sanno.

Ed entrati nella Grande Casa di Mattoni, si fecero annunciare al Re.

– Sommo Sacerdote, Fabbro Reale, ditemi che fine hanno fatto i nostri due astrolonomi Etana e Udama.

– Ehm, ecco Sire, noi… non…

– Forza, avanti, parlate!

– Sire, non lo sappiamo, avrebbero dovuto fare ritorno già da tempo…

– E il Cielo? È stato rammendato almeno?

– No Sire, i buchi luminosi sono ancora tutti al loro posto…

– Per tutti gli dèi di questo e dell’altro Tempo! E adesso?

– Adesso possiamo attendere che il Cielo si squarci definitivamente, oppure…

– Oppure…?

– Oppure inviamo altri due sulla Luna per terminare il lavoro di rammendo del Cielo e per recuperare Etana e Udama.

– Così sia. Fabbro Reale Gihan, ordino la costruzione di una nuova fionda.

– Sarà fatto, Sire, ma dovendo riportare poi qui dalla Luna quattro persone anziché due la cesta dovrà essere grande il doppio e, quindi, anche la fionda dovrà essere molto più grande.

– Certo, certo, questo non è un problema, Fabbro Reale, tutte le risorse di cui avrai bisogno ti saranno messe a disposizione.

– Sire, un’ultima domanda… chi inviamo stavolta?

– Questa è un’ottima domanda, Sommo Sacerdote Charb-Otti, ma la risposta è semplice. Andrete tu e il Fabbro Reale Gihan.

– Ah…

– Ah…

– Bene. E adesso andate. 

E i due, per un lungo tratto di strada, non parlarono, un po’ guardando il cielo incupiti e un po’ guardando a terra sospiranti.

– Beh, Sommo Sacerdote, io sono arrivato. Mi metto subito all’opera.

– Bene, Fabbro Reale. Io invece andrò a chiedere agli dèi pietà per le nostre due anime e, perché no, anche per i corpi.

E così, Gihan, il Fabbro Reale, si mise all’opera. Per cinque notti e cinque giorni nessuno lo vide più in giro, era chiuso nella profonda cripta del suo laboratorio, intento a progettare e a misurare e a calcolare. E forse anche a fare testamento. Poi, sul finire del quinto giorno, convocò i capi della Sacra Gilda dei Carpentieri, del Gran Consiglio dei Fornitori e dell’Oscuro Sindacato dei Lavoratori Uniti.

– Bene signori. Questi sono i progetti della nuova fionda. Che abbia inizio la costruzione.

E così, alle primissime luci del mattino successivo, centinaia di operai, per dieci giorni e dieci notti, lavorarono, intagliando e cesellando e martellando ed inchiodando e intrecciando e innalzando inni agli dèi e sul finire della decima notte, alle prime luci dell’alba, sulla valle antistante le porte della città, una fionda, ancora più grande della precedente fionda più grande mai immaginata dalla mente umana, si stagliava imperiosa e gloriosa contro il paesaggio circostante. 

Il Sommo Sacerdote Charb-Otti, con i paramenti sacri delle grandi occasioni, benedisse la struttura, tre volte, per sicurezza; il Re si compiacque e organizzò un banchetto, aperto anche agli abitanti delle città vicine e lontane e, infine, disse:

– Sommo Sacerdote Charb-Otti e Fabbro Reale Gihan, nobile servitore di quello che sta sopra uno e laborioso facitore di cose che prima non esistevano l’altro, a voi affido questa missione. Andate sulla Luna e raggiungete le stelle. A voi affido questo filo, prodotto con le fibre più pregiate e rare e bagnato nell’oro e nell’argento e baciato dalla Dea con la Fossetta sul Mento. Cucite ogni buco e rendete il Telo del Cielo forte e stabile, così come ogni cosa dovrebbe essere. E, infine, se potete, recuperate i due nobili e coraggiosi studiosi Etana e Udama, o quello che ne resta, e riportateli a noi.

E tra gli abitanti di Eridu e delle città vicine e lontane, per la prima volta insieme allo stesso tavolo, calò il silenzio. Charb-Otti e Gihan annuirono con gli occhi e in silenzio presero posto nella grande cesta al centro delle funi ritorte in tensione estrema.

E il Re, con voce ferma e bassa, disse:

– Lanciate!

E la tensione della fune fu liberata dai blocchi e con un suono simile allo schiocco di mille fruste tonanti la cesta con i due sumeri volò, lontana, sempre più piccola nel cielo, un puntino sempre più piccolo che alla fine scomparve. E i due all’interno ovviamente avevano paura, e mentre la terra sotto di loro si faceva sempre più piccola la Luna, invece, sempre più grande si apriva ai loro occhi. Sempre più grande e più vicina fino a quando non videro altro che lei. 

E infine vi si schiantarono contro.

Charb-Otti e Gihan uscirono dalla cesta e toccarono la superficie lunare, e una leggera nube di effimera polvere d’argento impalpabile li avvolse, e guardandosi attorno non videro altro che grigio.

– Gihan, prendi la scala e vediamo di capirci qualcosa.

– Eccola.

– Proviamo con quella stella, sembra la più vicina. Tu tieni la scala, io salgo.

E, dopo soli cinque gradini, Charb-Otti raggiunse la prima stella. E vide che, effettivamente, era un buco, così come avevano detto i due astrolonomi, grande il doppio della sua testa. Ma vide anche altro. Quello che da giù, da Eridu, sembrava luce era, in realtà, solo una piccola parte del visibile. Dal buco, infatti, provenivano suoni, e rumori, e profumi. E, preso dalla curiosità, ci si infilò dentro con metà del suo corpo e guardò verso il basso e vide che sotto di lui si apriva un intero mondo fatto di montagne, fiumi, pianure e, mentre si affacciava su quel mondo sotto di lui attraverso il buco nel Telo del Cielo, si sentì come risucchiato dentro ma riuscì a divincolarsi appena in tempo.

– Gihan, presto, prendi il filo e assicuralo bene e portalo qui.

E così fecero, e srotolarono il filo baciato dalla Dea con la Fossetta sul Mento attraverso il buco e videro che arrivava quasi a toccare il suolo e, preso il coraggio a piene mani, iniziarono la discesa, che fu faticosissima perché dovettero resistere ad una forza misteriosa che tentava di trascinarli verso il basso. Con le mani e i muscoli delle braccia che bruciavano per la fatica, piano piano i due sumeri scesero fino ad attraversare le nuvole più alte, e poi quelle più in basso, e poi scesero ancora fino alle cime delle montagne, e poi ancora fino alle colline, e poi ancora fino agli alberi più alti e poi ancora giù fino a quando finalmente posarono i piedi a terra. E pochi secondi dopo, il filo baciato dalla Dea con la Fossetta sul Mento si dissolse in un’esplosione silenziosa di scintille che per una frazione di secondo illuminò a giorno la notte di quel luogo.

– E adesso? Come faremo a fare ritorno alla cesta?

– Non lo so, Gihan, proprio non lo so. Domani cercheremo di capire dove siamo, adesso dormiamo un po’. E che gli dèi ci assistano. 

E così, al sorgere del sole, il Sommo Sacerdote e il Fabbro Reale si misero in cammino, attraversando una vasta pianura, un fiume che scorreva lento, e poi un bosco quasi interminabile e poi ancora un’altra pianura e poi, all’improvviso, urla e mugolii e i due non fecero in tempo a elaborare un frammento di pensiero che si ritrovarono circondati da quelli che sembravano essere uomini primitivi ma leggermente diversi dagli uomini per come loro conoscevano gli uomini. Questi erano più tozzi e muscolosi, e dalle forme assai più squadrate. Il Sommo Sacerdote Charb-Otti riprese subito in mano la situazione, e dopo un cerimonioso inchino fece le presentazioni. Per tutta risposta, quegli strani uomini primitivi, che palesemente ignoravano la lingua sumera, a gesti e suoni inarticolati invitarono i due a seguirli. 

– E adesso?

– E adesso li seguiamo, non possiamo fare altro.

E dopo un’ora di cammino arrivarono in un piccolo villaggio fatto di grotte e capanne rudimentali all’interno di una fitta boscaglia, e con tutti gli abitanti del villaggio un po’ incuriositi e un po’ intimoriti dai due nuovi arrivati. Infine, ai due sumeri diedero acqua e cibo e dopo li rinchiusero in una specie di recinto. E fu così per diverso tempo, fino a quando, un giorno, li fecero uscire dal recinto e, a gesti, fecero capire loro che potevano muoversi liberamente nel villaggio. E i primi giorni, Gihan e Charb-Otti, li passarono a osservare quegli strani uomini, così simili ma al tempo stesso così diversi da loro e, piano piano, inevitabilmente, la curiosità superò la diffidenza, e sia da un lato che dall’altro si cercò di stabilire un contatto con quelli che, agli occhi di ognuna delle due parti, erano esseri strani e diversi. E così i due sumeri, con il passare delle settimane, si integrarono nella vita del villaggio, cominciarono ad andare a caccia, a costruire trappole e la sera a consumare il cibo intorno al fuoco insieme agli strani uomini a cui, a loro volta, insegnarono a parlare e, con il passare dei mesi, a scrivere. E Gihan insegnò loro l’arte della metallurgia e i segreti della carpenteria, e Charb-Otti raccontò degli dèi che stavano da qualche parte oltre il Cielo e instaurò la Legge degli Uomini della città di Eridu e spiegò come coltivare i campi.

E passarono le stagioni, e infine gli anni, e Gihan e Charb-Otti più volte costruirono una fionda, sempre più grande, con elastici sempre più potenti, con la speranza di raggiungere le stelle così da fare ritorno a casa, ma sempre  senza successo perché il Cielo si stava sempre di più allontanando dalla Terra e così, col passare del tempo e dei tentativi falliti, iniziarono sempre meno a pensare al loro ritorno a casa perché la loro casa era adesso in quel villaggio che, anno dopo anno, si andava ingrandendo, con case in pietra, e strade, e scuole dove ai bambini si insegnava a leggere e a scrivere, e laboratori di artigiani, e con enormi templi dedicati alle divinità sumere, e che ogni giorno accoglieva sempre nuovi abitanti provenienti dai villaggi vicini e lontani.

– Gihan, abbiamo fatto un buon lavoro in questi anni…

– Si, Charb-Otti… chissà se lassù, o laggiù, qualcuno ancora si ricorda di noi…

– Non ci pensare, amico mio… Piuttosto, hai pensato alla mia idea?

– Quella di farti proclamare re? Non lo so, cioè, tu fai pure se lo ritieni opportuno ma io, amico mio, preferirei non essere coinvolto.

– E così sia, senza rancore. E adesso scusa, ma devo andare a preparare il discorso per l’incoronazione.

Il giorno dopo, uno tra i tanti nella folla festante e acclamante, Gihan assistette all’incoronazione dell’ex Sommo Sacerdote, ora re Charb-Otti I. Gihan scosse la testa, e si allontanò. Prima di uscire dalla piazza ebbe però il tempo di ascoltare una frase, smozzicata dagli applausi, del nuovo re.

– … Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione

E da quel momento le strade dei due sumeri si separarono per sempre.

Re Charb-Otti I consolidò il suo potere, espanse a dismisura i possedimenti di quella che era diventata una grande città-stato e che era stata ribattezzata Nuova Eridu, portò prosperità e pace e, in fondo, divenne un re benvoluto dai sudditi.

Gihan, invece, passò i suoi giorni ad affinare l’arte della metallurgia e a scrivere la storia della sua vita e degli eventi che lo avevano condotto in quel mondo. E un giorno conobbe Asha.

E i due iniziarono a passare le notti a guardare le stelle e a raccontarsi storie. 

– Ma te la posso chiedere una cosa?

– Certo, dimmi…

– Ma secondo te, quand’è che diventiamo adulti?

– Eh, Asha, forse quando smettiamo di farci questa domanda…

– Uhh come è serioso questa sera il mio Gihan! Piuttosto, mi racconti ancora di quando sei sceso dalle stelle?

– Nel mio mondo, chiamato Eridu, c’erano questi due studiosi che un giorno scoprirono che le stelle altro non sono se non buchi nel Telo del Cielo e la luce che…

– Ma, aspetta… se le stelle sono buchi, quella cos’è?

E alzo il dito verso il cielo indicando una stella molto più brillante delle altre con una lunga coda rossa.

– Quella è una cometa e secondo gli antichi è una…

Ma la spiegazione di quello che credevano gli antichi a proposito delle comete fu interrotta dal bacio di Asha. E da molti altri ancora. E nove mesi dopo nacque Ysu, la loro prima figlia e il primo essere in assoluto a nascere, in quel mondo, con gli occhi del colore del mare.

E gli anni continuarono a passare. Nuova Eridu era diventata la capitale di una federazione di decine di altre città-stato che prosperavano le une a beneficio delle altre.

E alla fine re Charb-Otti I morì. E pochi giorni dopo, anche Gihan smise di essere. 

A questo punto la storia potrebbe finire qui. E invece è proprio da qui che la storia ha inizio. O meglio, un’altra storia. 

Già, perché gli strani uomini primitivi erano degli uomini di Neanderthal e che da lì a breve, con l’arrivo dell’Homo sapiens, si sarebbero incamminati sulla strada dell’estinzione. E invece arrivarono nel loro mondo i due sumeri e i Neanderthal in pochi anni fecero un salto evolutivo e tecnologico impressionante e che mai avrebbero altrimenti fatto e quando infine entrarono in contatto con i Sapiens furono questi ultimi a soccombere. La Storia era cambiata.

Meno di un secolo dopo la morte dei due sumeri, la federazione di città-stato dei Neanderthal aveva già unificato l’Europa occidentale sotto la guida della capitale Nuova Eridu. Strade in pietra collegavano ogni angolo del continente, ovunque si veneravano gli dèi della mitologia sumera, e dal Mare del Nord al Mediterraneo si parlava la stessa lingua. Qualche migliaio di anni dopo anche l’Africa fu inglobata nella federazione. E, qualche decina di millenni dopo, anche la sterminata Asia fu unificata sotto la bandiera di Nuova Eridu. E mentre nella cronologia della Storia come la conosciamo noi in uno sperduto villaggio della Galilea nasceva un certo Yēšūa’, nel mondo dalla cronologia alterata della federazione dei Neanderthal si facevano le prime scoperte geografiche. Prima l’Australia e, in quello che per noi è l’anno 1000, le Americhe e, pochi secoli dopo, i due Poli. E poi, piano piano, i primi contrasti tra le città-stato più ricche e la nascita di diverse fazioni e alleanze e poi la guerra totale per la presa del potere e la fine della Federazione e, dopo trent’anni di distruzione, finalmente la pace, senza vincitori. E allora si decise che mai più ci sarebbero dovute essere guerre e così tutte le città-stato, abdicando la loro autonomia, diedero vita, tutte insieme, all’O.N.U. (Organizzazione dei Neanderthal Uniti), una struttura di governo mondiale che nel corso degli anni preservò la pace, eliminò le ingiustizie e costruì un mondo perfetto dove tutti avevano tutto. Il mondo, quel mondo, diventò, nel corso di pochi decenni, un luogo privo di guerre e dove la povertà e il dolore si trasformarono in concetti sempre più lontani dalla quotidianità, concetti riportati ormai solo nei dizionari. Ma poi, col passare dei secoli, sparirono anche dai dizionari, così come sparirono nozioni quali libertà e libero arbitrio perché, nella società perfetta disegnata dall’Organizzazione dei Neanderthal Uniti, le persone avevano smesso di pensare, e quindi desiderare e contestare.

– Stasera usciamo?

– Aspetta, vediamo cosa dice OTTI… no, dice che stasera non è consigliato.

– Va bene, alla prossima.

– Ciao.

E così per tutto, dalle decisioni semplici fino alle più grandi, ogni cosa finì per essere delegata all’algoritmo decisionale di OTTI, un’Intelligenza Artificiale che l’Organizzazione dei Neanderthal Uniti aveva sviluppato per dare un ordine al naturale caos presente in qualunque società complessa. E poi, con il passare del tempo, le persone smisero di chiedere all’algoritmo consigli sulle decisioni da prendere e iniziarono semplicemente a fare quanto veniva loro detto di fare dall’algoritmo stesso; tutti, dalla culla alla tomba, si ritrovarono con la vita programmata, ogni singolo minuto, ora, giorno, mese e anno, tutto pianificato in modo perfetto e assolutamente collimante con le molteplici altre esistenze; niente più decisioni sbagliate, indecisioni e rimpianti, lavoro sicuro e benessere per tutti, ogni malattia debellata, i cuori smisero di essere spezzati e anche gli dèi infine diventarono superflui. E qui qualcuno starà sicuramente pensando che, finalmente, da qualche parte nell’Universo e nel Tempo, esiste una Terra che è un posto migliore di quello che noi conosciamo. Vero, ma… ma poi, qualche decennio dopo, il governo mondiale dell’ONU decise di impiantare chip dell’intelligenza artificiale OTTI direttamente nel cervello delle persone, e quel poco di volontà e di libero arbitrio rimasti sparirono definitivamente rendendo la popolazione mondiale una massa anonima di automi privi di sentimenti ed emozioni. E mentre la vita degli umani diventava così perfetta da risultare apaticamente infelice, un posto, un piccolo posto sulla Terra, rimase escluso da quanto accadeva nel resto del pianeta. Si trattava di una quasi inaccessibile valle circondata da aspre montagne e solcata da due fiumi. La valle, segnata sulle carte geografiche con il nome di “Valle Celeste”, era puntellata da tante piccole città i cui abitanti erano tutti con gli occhi azzurri, discendenti di Ysu, la figlia di Gihan e Asha e che nel suo particolare colore degli occhi trasmise il corredo genetico sia dei Neanderthal che dei Sapiens. Nel corso dei secoli i “Celestini”, termine usato per indicare tutti i nati con gli occhi del color del cielo, erano stati sempre considerati strani, diversi, gente che preferiva passare il tempo a guardare le stelle e a farsi domande piuttosto che integrarsi nel sistema mondiale perfetto che lentamente si andava costruendo, venendo ghettizzati e perseguitati e quasi sterminati fino a quando l’ONU non decise di chiuderli in una riserva, lontani da tutti e dotati di totale autonomia amministrativa. E qui, nella valle, i “Celestini” si organizzarono, costruirono villaggi, e poi città e, infine, con la nascita dell’Unione delle Libere Città Comunitarie, si trasformarono in stato. I comunitari, così i “Celestini” definivano loro stessi, erano un popolo dedito alla speculazione filosofica, allo studio delle stelle e alla costante ricerca della ricetta per la felicità, e quindi condannati all’infelicità. Qui, nella città capitale, in una sera di luglio, due astronomi scrutano il cielo.

– Ehi, Uma, guarda qua!

– Ena, ma… cos’è?

– Una cometa rossa.

– … rossa… 

– Già, molto strano… Andiamo a riferirlo a chi di dovere.

E così i due astronomi si dirigono alla Gran Loggia dei Commercialisti, da sempre custodi della conoscenza.

– Prego, entrate. Dite, signori astronomi, cosa vi porta alla Gran Loggia?

– Deve sapere, Gran Maestro Commercialista, che stanotte è apparsa in cielo una cometa rossa e… ecco, queste sono le foto e…

– Rossa, avete detto?

– Rossa, Gran Maestro…

– Uhm bene bene, grazie per l’informazione, datemi le foto, ecco bene, adesso andate.

E, appena i due astronomi uscirono:

– Gran Coppiere, porta il Gran Libro Mastro.

E pochi minuti dopo un grande libro rilegato in oro e chiuso da sette sigilli viene consegnato tra le Mani del Gran Maestro.

– Grazie, puoi andare.

E rotti i sette sigilli, il Gran Maestro inizia a leggere. E passano le ore e si fa l’alba, e poi infine il sole sorge e, poco prima di mezzogiorno:

– Gran Coppiere, convoca il Gran Consiglio dei Sommi Commercialisti.

E un’ora dopo, tra squilli di tromba e ticchettii di registratori di cassa, i Sommi Commercialisti presero posto all’interno della Grande e Oscura Spelonca del Diritto Tributario.

– Sommi Commercialisti, vi ho qui convocati perché, udite, nel buio del Cielo è apparso il Segno che da millenni aspettavamo e…

– Il Gran Segno! È apparso! Prodigio!

– Si Sommi, la Cometa Rossa è apparsa… e così come previsto dalle Scritture ho rotto i Sette Sigilli e ho letto il Gran Libro Perduto del Fabbro Gihan…

– Ohhhh!

– Per secoli abbiamo nascosto tra le partite doppie il mistero che custodiamo, adesso Gihan il Fabbro ha rivelato la sua storia, la nostra storia, i segreti non detti delle Stelle e del Cielo e…

– E… ??!!

– … e il segreto della felicità…

Brusii e mugolii e inni di lode innalzati al cielo.

– Rivelacelo, Gran Maestro, rivelaci il segreto della felicità!

– La felicità si trova nelle piccole e grandi infelicità quotidiane, nelle imperfezioni e negli errori, se tutto fosse perfetto perderemmo la nostra umanità. Così ha scritto il Fabbro Gihan.

Brusii e mugolii e inni di lode innalzati al cielo.

– E adesso seguitemi, andiamo a predicare il Verbo del Fabbro Gihan!

Tutti i Sommi Commercialisti uscirono dalla sala e si sparpagliarono per il mondo predicando l’imperfetto e il rimpianto.

Quando tutti se ne furono andati, entrò nella Grande e Oscura Spelonca del Diritto Tributario il Gran Coppiere, borbottando per il gran disordine che sarebbe toccato a lui rimettere in ordine, quando, sul leggio al centro, vide il Gran Libro Perduto e, mosso dalla curiosità, si mise a leggerlo. E passano le ore e si fa l’alba, e poi infine il sole sorge e, poco prima di mezzogiorno:

– Dannazione! Quegli sciagurati di commercialisti non ci hanno capito nulla!

Prese con sé il volume e si diresse all’Osservatorio astronomico.

– Oh, il Gran Coppiere! Qual buon vento amic…

– Dottor Ena, Dottor Uma, salve, scusate se mi presento così all’improvviso, ma vi devo assolutamente parlare!

– Ahm, si, certo… prego, prego si accomodi. Ci dica, cos’è successo?

– Ecco, dunque, ricordate che siete venuti dal Sommo Gran Commercialista ad annunciare il passaggio di una cometa rossa? Ecco, la cometa rossa era il segnale atteso per poter finalmente leggere il contenuto del Gran Libro Perduto del Fabbro Gihan e… e, niente, è stato letto, interpretato, convocato il Gran Consiglio e si è deliberato e… e…

– …E…? Cosa?

– E quei commercialisti da quattro soldi hanno sbagliato tutto, tutto!

– Hanno sbagliato…?

– Si, tutto! L’unica cosa che hanno capito è che la felicità non esiste e adesso sono partiti per il mondo a predicare le virtù dell’errore e dell’imperfezione. Probabilmente quegli sciocchi finiranno con l’essere presi a sassate.

– Oh. Eh, si però, ehm, diciamo che non mi sembra un messaggio sbagliato quello che…

– Non è questo il punto! Ecco, guardate, questo è il Gran Libro Perduto del Fabbro Gihan… Dunque, qui racconta la storia di come lui e Charb-Otti sono arrivati da un altro tempo, qui di come Charb-Otti divenne il primo re, qui fa le sue considerazioni sull’impossibilità della felicità perfetta e qui… Ah si, ecco, qui è dove parla della cometa rossa. Leggete.

Ena e Uma si chinarono quindi sulle antiche pagine e inforcati gli occhiali in perfetta sincronia, lessero quanto raccontavano quei caratteri minuti.

«Ed ero con la mia Luna, Asha, e guardavamo le stelle e ci raccontavamo mille storie, immaginando che ogni stella fosse il seme di un’anguria e la Terra la rossa polpa, e poi le raccontai del mio viaggio attraverso gli astri e di come il Cielo fosse una porta tra infiniti mondi e tempi attraverso quei buchi che sono le stelle quando lei mi blocca.  

– Ma, aspetta… se le stelle sono buchi, quella cos’è?

Era una cometa. Ma sembrava diversa da tutte quelle che già mi era capitato di vedere, sembrava rossa. E continuai ad osservarla nelle notti seguenti, ed essa diveniva sempre più visibile, con una lunghissima coda di un rosso brillante. E così decisi. Avrei costruito una nuova fionda ma, questa volta, in segreto. E così, dopo dieci giorni, la fionda era pronta, la fune per poter ridiscendere sulla Terra, pure e la cometa era ormai così vicina che anche in pieno giorno brillava sulle nostre teste. Potevo partire. Il viaggio fu molto più breve di quello che anni prima aveva portato me e Charb-Otti sulla Luna. Il terreno sembrava fatto di cristalli di quarzo e di finissima sabbia nera e tutto circondato da un velo opalescente rossastro che si faceva sempre più intenso e vivo man mano che mi avvicinavo alla coda. E poi finalmente ho visto la scia della coda, ho guardato dentro di essa e ho capito. La cometa nella sua corsa squarciava brevemente quel possente Telo chiamato Cielo, che poi si richiudeva, come ricucito da una sapiente mano, e attraverso quello strappo sotto, al di là della luce, apparivano scena di un altro Tempo, scene brevi che dopo poco si richiudevano, coperte dal Telo nero del Cielo, ma subito ne appariva un’altra e poi un’altra ancora e così via. E il tempo che ho visto era il mio Tempo, il Tempo di prima che arrivassi qui attraverso una stella. Ho visto la mia città Eridu, la fionda mentre veniva costruita, il Re di Eridu parlare con i due astrolonomi e Charb-Otti diventare Sommo Sacerdote, poi ho visto la mia nascita e la nascita dei miei genitori, poi ho visto la città ingrandirsi, e quando era ancora solo un piccolo villaggio, e ne ho visto la fondazione e poi… e poi ho smesso di guardare. Potevo tornare a casa, a Eridu, mi sarebbe bastato fare un solo piccolo passo e attraversare lo strappo del Tempo e fuggire da questo mondo che sta diventando sempre più sbagliato ma avrei dovuto abbandonare Asha perché non ci sarebbe stato il tempo di tornare indietro, costruire una fionda più grande e ripartire insieme, la cometa si stava già allontanando dalla Terra e presto sarebbe stata fuori portata. E allora ho fatto un passo indietro, ho srotolato la fune e sono ridisceso sulla Terra e nelle notti che seguirono guardai la cometa allontanarsi fino a perdersi nel nero. Ho scelto l’amore ad una vita migliore.».

Ena e Uma si tolsero gli occhiali in perfetta sincronia.

– Un bel brano…

– Si, concordo con il mio collega… ma, Gran Coppiere, perché era così urgente farcelo leggere?

– Ma è semplice! Dopo migliaia di anni la stessa cometa si ripresenta sulle nostre teste e abbiamo la possibilità di fare quello che il Fabbro Gihan non ha avuto il coraggio di fare…

– Ehm… andare in un altro tempo? E perché?

– Si esatto, attraversare il tempo e arrivare a Eridu prima del lancio della fionda, e se la fionda non sarà lanciata, Charb-Otti non arriverà mai nel nostro Tempo e la follia di questo mondo che ha avuto inizio con la sua dinastia non avrà mai luogo!

– Uhm Uhm… si, potrebbe funzionare!

– Funzionerà! Ma dobbiamo fare presto, abbiamo poco tempo per costruire una fionda per due persone.

– Due… ?

– Si, andrete voi due. In fondo siete astronomi e scienziati, quali migliori menti potrebbero portare a termine questo incarico?

– E sia, Gran Coppiere!

E così i tre iniziarono, in gran segreto, a costruire una fionda abbastanza grande da portare due persone sulla cometa. E la notte del quinto giorno, quando ormai la cometa era quasi alla distanza minima, tutto fu pronto. 

– Beh, Ena, Uma… a quanto pare ci siamo…

E i tre si abbracciarono. Poi l’elastico fu portato alla massima tensione e fu rilasciato, e il Gran Coppiere osservò la cesta con i due astronomi volare sempre più in alto fino a perdersi.

Pochi minuti dopo, Ena e Uma scesero sulla cometa, osservando il terreno che sembrava fatto di cristalli di quarzo e di finissima sabbia nera e tutto circondato da un velo opalescente rossastro che si faceva sempre più intenso e vivo man mano che si avvicinavano alla coda e poi infine anche loro videro lo svolgersi delle scene di un altro Tempo così come le aveva descritte il Fabbro Gihan. 

– Uma, guarda! Ci siamo! È questo il Tempo dove dobbiamo andare! Forza, attraversiamo!- gridò Ena mentre osservava la scena della costruzione della fionda. 

Ma Uma inciampò, Ena lo aiutò a rialzarsi e attraversarono insieme lo squarcio non sapendo che quel minuto di ritardo aveva fatto loro perdere la finestra temporale. Quando arrivarono a Eridu, infatti, la fionda non c’era, il re aveva un altro nome e la città era molto più piccola. Erano a Eridu, ma cinquant’anni prima degli eventi che avrebbero dovuto impedire che avvenissero. E così, Ena e Uma, bloccati sulla Terra in un Tempo sbagliato due volte, dopo aver visto la cometa allontanarsi fino a sparire, si rassegnarono all’idea di dover vivere il resto dei loro giorni in quella città della bassa Mesopotamia, e cercarono di integrarsi come meglio poterono, uno come artigiano e l’altro come agricoltore.

– Ena, ma ha ancora senso ricominciare da capo?

– Si Uma, specie quando non si ha più nulla da perdere…

– Ma noi, Ena, avevamo tutto…

– Un motivo in più per ricominciare.

E dopo qualche anno si sposarono con due donne del posto, e dopo qualche anno ancora entrambi divennero padri, e dopo molti anni ancora Ena e Uma morirono e i loro due figli, le cui madri già all’atto del parto erano morte, furono adottati dall’assistente del Sommo Sacerdote, un giovane di nome Charb-Otti, che li fece studiare e infine assumere come astronomi e astrologi reali. I due si chiamavano Etana e Udama, e anni dopo avrebbero scoperto uno strappo nel Telo chiamato Cielo, e l’avrebbero comunicato al Sommo Sacerdote che poi l’avrebbe comunicato al re, e poi si sarebbe costruita una fionda e Etana e Udama sarebbero partiti per rammendare il Cielo ma…

Ma questa, si sa, è un’altra storia.

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.