Appunti sparsi su qualunque argomento che potresti aver scritto anche tu. Ma, purtroppo per me, li scrivo io e li dedico a chi affronta la vita con un White Russian in mano sognando un mondo migliore. Ma poi ci ripensa perchè tanto, alla fine, il mondo è di chi si fa la foto sorreggendo la Torre di Pisa. E va bene così.
Immagine di copertina a cura di:
VALENTINA BORTOLOTTI, LIDIA PACE, LARA STEFANINI
3C Liceo Artistico “F.Arcangeli” di Bologna
Fulgenzio Anonimo era un piccolo borghese, nel senso che abitava in un piccolo borgo, ed era un banchiere, nel senso che… no niente, nel senso che lavorava proprio in una banca. Però Fulgenzio non era felice, prestare soldi e poi farseli ridare con gli interessi e poi prendere case, auto, anime di chi non aveva i soldi per pagare le rate… no, quel lavoro non era allegro. Almeno per lui. E lo capì guardando un gabbiano in volo sul mare, no no, non il vero mare ma una foto in alta definizione sullo schermo del suo pc. Così, in una notte insonne, ebbe un’idea. Dare fuoco alla banca. Però, subito dopo, Fulgenzio pensò alla galera e, siccome neanche questa era una cosa allegra, abbandonò i suoi propositi incendiari (ad onor del vero, un pò a malincuore). Ma, sempre in quella notte insonne, ebbe un’altra idea. E questa gli piacque. Il giorno dopo, alle 08.55, Fulgenzio Anonimo entrò nell’Ufficio del Super Direttore e si licenziò. Il giorno dopo aprì la sua nuova attività, un piccolo laboratorio artigianale che accoglieva i clienti con una allegra insegna con su scritto: “Qui si riparano sogni infranti”. E Fulgenzio era davvero bravo a riparare i sogni infranti. C’era la donna che aveva desiderato il principe azzurro senza averlo mai trovato, e il bambino che voleva diventare astronauta ma che fattosi adulto non aveva neanche la patente del monopattino, e c’era il musicista che sognava grandi concerti in stadi straripanti di pubblico e che invece cinquant’anni dopo suonava tutte le sere nella piccola osteria del popolo del piccolo borgo con ubriaconi molesti e piattole come pubblico, e c’era l’operaio che sognava di diventare padrone e c’era il padrone che sognava di diventare buono e c’era il prete che sognava l’amore e c’era il ladro che sognava di vincere il concorso alle poste e c’era il comunista che aveva passato la vita a preparare la rivoluzione delle masse proletarie ma dopo decenni di comizi gli unici compagni rimasti erano la solitudine e il dubbio di una vita sprecata e c’era… insomma dai, avete capito come funziona la cosa. Fulgenzio prendeva tutti questi sogni infranti e ne rimetteva insieme i cocci. Sogni di nuovo scintillanti e vivi come appena usciti dalla fabbrica dei sogni. E Fulgenzio era così bravo che nel tempo la sua fama travalicò i confini del piccolo borgo, sorpassò il piccolo fiume, superò le piccole montagne, dilagò nella piccola valle e infine raggiunse la piccola capitale al di là del piccolo orizzonte. E così un giorno il telefono squillò.
Dopo quella telefonata, Fulgenzio si fermò a guardare i ragazzini giocare al piccolo banchiere sulla piazza antistante la Chiesa del Sacro Cuore della Produttività. Avrebbe tanto voluto guardare i gabbiani in volo sul mare. Ma il piccolo borgo era circondato da piccole montagne. E non aveva più il suo pc con lo sfondo in alta definizione. Prese l’insegna e con un pennarello nero modificò la scritta “Qui si riparano sogni infranti”. La riappese all’ingresso del suo piccolo laboratorio artigianale.
“Qui si riparano (alcuni) sogni infranti”. E sotto, in piccolo, “Torno subito. Sono andato a cercare il mare”.