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L’estate (non) sta finendo. Un anno se ne va(?)

di:

Come una zanzara che ti punge a gennaio.
Come un peperone che “si ripropone” dopo 48 ore.
Come un fascio al governo.
La domanda è: “Davvero? Ancora?”
Sì. Ancora.
L’estate non sta finendo, un anno non se ne va, il fastidio torna a galla.

L’estate non sta finendo, il tempo si è fermato

Come l’ho capito? Grazie al mio pessimo tempismo, è chiaro.
Infatti, mi sono beccata il Covid.
Per la prima volta dal 2020.
In due minuti è stato di nuovo lockdown, isolamento, “aspetta che mi disinfetto anche le doppie punte”, “adesso completo tutti i progetti lasciati a metà dal 1998”, “risolvo anche le questioni in sospeso con i compagnucci delle medie”, “riprogetto tutta la mia vita”. Giuro che lo faccio.
Ma prima mi ingozzo di caramelle e mi guardo di nuovo tutte le nove stagioni di The Office. Ma poi arrivo eh.

Autoisolamento: una sospensione, una frenata brusca che non si risolve con l’impatto contro un muro, tir o albero che sia: piuttosto resti a volare lungo un tratto che va da un punto A a un punto B ignoto, una specie di A – Boh? Ecco.
Ufficialmente l’isolamento è durato 12 giorni, ma chi può dire quanto tempo sia passato realmente? No, non è una domanda retorica, è proprio una domanda che mi sono posta: chi può dirmelo?
Il Conad. Sì, stentavo a crederci anche io, ma è stata la vetrina del piccolo Conad in centro, a spiegarmi che nessuno può dirmi quanto tempo sia passato, perché il tempo si è chiaramente fermato.
Appena finito l’isolamento, sbucata fuori dal mio bozzolo di serie tv e coloranti, sono andata a correre.
Non entrerò nel dettaglio di cosa significhi, passare dal correre quasi ogni giorno, allo stare ferma per due settimane. Dirò solo che il paragone sarebbe con l’allegoria della caverna di Platone.
E infatti, appena ho rivisto la luce, ho avuto la mia rivelazione: è finito ottobre, sto correndo con una maglia senza maniche, al Conad ci sono i pandori. Perché fra poco è Natale.
Per capirlo, mi è bastata l’istantanea della me riflessa nella vetrina, con le spalle e i capelli sudati come fosse agosto, ma accanto a una pila di pandori.
Certo, l’anacronismo tra le urgenze di mercato e il mood che accompagna, o dovrebbe accompagnare, le feste, non è una novità.
Ma è proprio quando l’inaspettato diventa prevedibile e ti ci abitui, che quella che avevi imparato a considerare “norma”, ti si para davanti, per ricordarti che non non c’è niente di normale. E succede quando meno te lo aspetti.
Come quella foto che hai sul comodino dagli anni ’90: tu non la guardi più da decenni, ma quando inizi a non sentirti più lo stesso di allora, quella si palesa in tutto il suo anacronismo, senza preavviso, per dirti: “ehi, io sono sempre stata qui. Piuttosto tu, che fine hai fatto?”.
Più o meno è lo stesso, ma meno malinconico, meno anni ’90 e più “ok, quella sei tu in tenuta estiva ma a fine ottobre: finiremo arrostiti tra qualche anno in un afoso inverno con 50 gradi di minima.

L’estate (non) sta finendo: la profezia Righeira

Il contrasto grottesco di una hit estiva che diventa profezia: fino a qualche anno fa, L’estate sta finendo dei Righeira era solo un tormentone frivolo e un po’ malinconico – come tutti gli anni ’80 e come ogni cosa frivola – che si ostinava a ricordarti che le cose belle, l’estate, le vacanze e le infradito, sono sempre destinate a finire.
Adesso, con la semplice ma mai scontata aggiunta di un punto interrogativo, sembra il trailer di un’apocalisse: L’estate sta finendo? No.
L’estate non sta finendo, non finirà mai più. E no, non è una buona notizia, neanche per gli amanti del clima africano, neanche per i meteropatici che soffrono alla sola vista di un cielo grigio.

Ne avevo già parlato nel numero di agosto, che ammetto di aver scritto in un momento di non eccessivo ottimismo. Anche perché, appunto, l’ho scritto mentre mi sudavano anche le ciglia, date le temperature. E in quel caso avevo concluso che ci tocca stare lì a “saltellare tra bellezza e catastrofe, sogno e mito, non dimenticando mai di prendere, almeno ogni tanto, una posizione che duri un po’ più di una dichiarazione politica”.
E ai tempi ancora non avevo visto Meloni che si fa chiamare IL Presidente, in barba non al linguaggio inclusivo, proprio all’italiano; La Russa ancora non prendeva il posto di Segre; Gasparri ancora non aveva detto nessuna gasparrata talmente aberrante da superare le precedenti; Memo Remigi ancora non toccava nessun culo in diretta, scatenando i soliti discorsi “eh, esagerati, era in simpatia”, che ti ricordano che tutto sommato siamo rimasti al dopoguerra.
Al primo, probabilmente. Del resto, l’esito delle elezioni parla chiaro.
Come al solito, tante piccole cose che si sommano: ragionare a tempi determinati non è solo una condizione lavorativa ma mentale, esistenziale.
L’estate non sta finendo, un anno non se ne va, i giorni si ammucchiano a caso, senza senso, come i pandori al Conad.

Una cosa è certa: possiamo solo espanderci

Non stiamo evolvendo, siamo fermi.
Andiamo avanti e dietro, come quel vecchio spot che recitava “Una cosa è certa, al Conad ci si torna”, con la gente che andava così spesso al supermercato, da consumare la strada e creare un fosso profondo lungo il tragitto.
Forse era l’ennesima profezia: stiamo consumando la terra sotto i nostri piedi e l’esito è piuttosto facile da immaginare.
Quindi sì, saltellare tra bellezza e catastrofe continua a sembrarmi una soluzione. Ma forse mi sento di aggiungere che c’è bisogno di farlo con l’intento di espandersi.

Si potrebbe fare come Il Ballo Del Potere di Battiato:
“Ti muovi sulla destra, poi sulla sinistra
Resti immobile sul centro, provi a fare un giro su te stesso
Un giro su te stesso
Fingi di riandare avanti con un salto
Poi a sinistra con la finta che stai andando a destra
Che stai andando a destra
Poi si aggiungono i pensieri
Con un movimento indipendente dalla testa, dalle gambe
Con un movimento dissociato dalla testa, dalle gambe”.

Espandersi, allargare gli orizzonti correndo o in qualsiasi altro modo ci permetta di spostarci dalla solita traiettoria, atterrare un attimo davanti alle istantanee e crearne di nuove, il più personalizzate possibile. Cercare situazioni e spazi che possano creare territori paralleli, dove è possibile guardare le cose da un punto di vista che ci permetta di mantenere quel minimo di lucidità necessaria a dire che quello che sta succedendo non è normale.
Il fascismo non è morto e sepolto. La maniche corte a novembre non sono la risposta benevola della sorte, che non vuole farci accendere i riscaldamenti per via dei rincari. Meloni non è una donna Presidente, è una maschilista, Presidente. E niente di tutto questo dovrebbe prendersi lo spazio che abbiamo.
L’alternativa è scavarci la fossa, per andare a prendere il pandoro al Conad, in un autunno che sembra agosto.

Illustrazione la ire en rose