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La rubrica scherzosa e un po' comica, che potrebbe diventare tragica da un momento all'altro: dipende dal film che ho visto, dalla musica che sto ascoltando, dall'ultima polemica che impazza on line, tanto per chiarire che si tratta solo di un punto di vista personale.

Benvenuti nella Crisi, benvenuti nella DiMaioCrazia Cristiana

di:

Come quando esci dalla doccia più sudato di prima;

Come quando vedi la luce in fondo al tunnel e la raggiungi, correndo trafelato ma per spegnerla, che “dobbiamo ridurre gli sprechi”, “le bollette sono aumentate” etc etc;

Come quando ti sintonizzi su un talk politico a caso e ti accorgi che, non importa se siano passati anni, minuti o giorni dall’ultima volta che hai acceso la tv: dicono sempre le stesse cose;

Siamo tutti con l’espressione dell’addetto alla sicurezza al concerto del trapper Paky: schifati ma rassegnati.

Moriremo tutti evaporati

Sembrerebbe davvero arrivato il momento di dare ragione a William Thacker.
Ovvero a Hugh Grant, in Notthing Hill.

Quello che cerca di calmare la furiosa Julia Roberts/Anna Scott – la cui vita è stata spiattellata sui giornali per l’ennesiama volta – dicendo “nell’ordine generale delle cose non ha importanza (…) ti chiedo solo di avere un normale pizzico di prospettiva”.

L’ordine generale a cui si riferisce sono i bambini che muoiono nel Biafra, o l’amica che, per un banale incidente, è rimasta paralizzata. 

Certo è un po’ qualunquista. Certo, sembra banale.

Potremmo dire che in fondo era il 1999 e, a distanza di più di 20 anni, siamo cresciuti, il mondo è cambiato. 

E invece adesso suona come una frase, sempre qualunquista e banale, ma decisamente appropriata. Anzi, necessaria. 

E suonerebbe tipo “nell’ordine generale delle cose non ha importanza, tanto moriremo tutti evaporati” .

Siamo arrivati a questo punto. Quello in cui, se mettiamo le cose davvero in prospettiva, facendo l’elenco di tutto quello che non va e che crea problemi più o meno giganteschi – dall’unghia incarnita, alla disoccupazione, la guerra, la crisi economica, la pandemia – nulla ha davvero importanza, perché siamo al punto di non avere acqua. Comuni costretti a razionare l’acqua di notte, consigli su come evitare sprechi. Abbiamo passato gli ultimi due anni a cercare di capire come lavarci le mani correttamente; era solo questione di tempo, prima che iniziassimo a rivedere anche come lavare i piatti con l’acqua della pasta, come gestire lo sciacquone, riflettere su come fare uno shampoo, senza avere la sensazione di contribuire allo scioglimento dei ghiacciai.

Ecco. Di fronte alla necessità di rivedere le basi, ma di che altro dovremmo parlare? 

Un elenco possibile di cose di cui parlare

Beh, di roba di cui parlare ce n’è tanta, in realtà. 

Io ci provo. Magari prendo spunto da quello che mi è saltato più all’occhio in quest’ultimo periodo. 

-È diventato virale un corso di video lezioni per imparare a parlare in corsivo, cioè aggiungendo vocali, allungando le parole sul finale, cantilenando. Insomma, facendo quelli con la puzza sotto al naso. Dai, un po’ l’impressione è quella.

-Si parla di nuovo di “ondata di contagi”.  

E “non è che devi mettere la mascherina, ma è meglio se la metti”; e “ne stiamo uscendo eh, ma forse in autunno ci rientriamo un attimo, chissà; e “va tutto bene, ma in realtà no”. 

-In Usa hanno abolito il diritto all’aborto. Nello specifico, la Corte Suprema ha abolito la sentenza Roe v. Wide, che appunto stabilisce il diritto all’interruzione di gravidanza fino alle 24 settimane, lasciando a ogni Stato la possibilità di decidere se vietare o meno l’aborto. E, considerata la cospicua presenza di Stati conservatori, il numero di donne americane che avranno difficoltà a poter usufruire di un diritto è altissimo. 

C’è stato anche quello che a me è sembrato un trailer di quello che potrebbe accadere (e che è già successo altrove): una turista americana si è ritrovata “ostaggio” di un ospedale a Malta. Perché a Malta l’aborto è illegale, sempre e comunque. 
La donna ha avuto un distacco parziale della placenta, il feto è stato dichiarato praticamente morto, cioè senza possibilità di sopravvivere né fuori dall’utero né dentro. Ma il suo cuore continuava a battere. E finché batte, non si pratica aborto. Anche se la donna, in questo modo, rischia di contrarre infezioni o avere emorragie. 
Abolire un diritto significa questo. 

Ma come ha reagito la politica italiana alla notizia della sentenza della Corte Suprema?

Pillon ha detto “bravi”. Anzi, ha detto “Ora portiamo anche in Italia e in Europa la brezza leggera del diritto alla vita di ogni bambino, che deve poter vedere questo bel cielo azzurro” … La sua capacità di pensare cose aberranti e formularle anche in maniera grottesca è stupefacente, va detto.

Meloni ha detto che la 194 non è in discussione. Salvini ha detto “L’ultima parola spetta alle donne”.
Incredibile come si sia arrivati al punto di dover riconoscere a Pillon almeno la coerenza, rispetto agli altri due colleghi, che fingono di dimenticare il World Congress a cui hanno partecipato nel 2019, insieme ad altri illuminati provenienti dalle destre ultraconservatrici di mezzo pianeta, per promuovere le loro idee non esattamente progressiste su legge 194, matrimoni gay e altri temi che hanno a che fare con le più basilari norme del vivere civile.
Tanto per rinfrescarci la memoria: parliamo di un congresso dove distribuivano piccoli feti di plastica, chiusi in altrettanto piccole buste di plastica. A proposito di grottesco. E inquietante.

Per il resto, non mi pare di aver sentito molto altro. Niente perlomeno che faccia dimenticare il “piccolo dettaglio” che in Italia 7 ginecologi su 10, che operano negli ospedali, sono obiettori.
Insomma, anche in questo caso “va tutto bene, ma in realtà no…”

Perché la questione è sempre la stessa: tu hai l’utero e loro vogliono gestirlo. 

-Paola Turci e Francesca Di Pascale si sono unite civilmente. Ci sono media che hanno addirittura gridato al miracolo e al grande cambiamento, perché pare non abbiano avuto molti attacchi dai soliti haters. E poi c’è chiaramente la realtà, che mostra come gli haters esistano e si palesino soprattutto in questi contesti. 
Ma sì, certo, è comunque una buona notizia. Nella misura in cui possa generarsi una buona notizia, anche da una persona che ha spartito aria e forse saliva con Berlusconi. Ma è una cosa mia: brava Francesca, evviva i cambiamenti, evviva il gender fluid, evviva i diritti e la civiltà. E non sono sarcastica. Ma ecco, magari frenerei gli entusiasmi e non mi esalterei troppo, parlando della faccenda come una rivoluzione sociale.

-Di Maio scinde. Di Maio va verso il futuro. Forma un nuovo partito, che non sarà un partito populista, non sarà un partito qualunquista, dice.
Immagino non sarà neanche di destra o di sinistra. Quindi resta il centro, no?
Un bel centro morbido, aperto, caldo come un cratere, come un bel buco nero che… ah, no. Forse non intendeva questo.
È che ormai, se metti la parola futuro, viste le premesse di cui sopra, uno pensa alla catastrofe. 

E la cosa peggiore è che non si pensa alla catastrofe per i punti di cui sopra, ma per quello che ancora non ho scritto: la crisi climatica. 

Non sappiamo più che nome dare al caldo

Non c’è acqua, razionamenti notturni, fa un caldo veramente di merda.

Cioè, secondo me siamo vicini a un nuovo modo di classificare la situazione metereologica, tipo: “piogge sparse”, “banchi di nebbia”, “caldo afoso”, “caldo umido” “caldo di merda”. 

Perché, se esci all’ alba e ci sono già 25 gradi e l’80 per cento di umidità: è un caldo di merda. Non c’è una classificazione più scientifica di questa.
Pensavo. E invece c’è.
Lo so che non sembra credibile, ma giuro che questa cosa l’ho pensata prima di scoprire che è successo davvero: a Siviglia lo hanno fatto davvero.
Invasa da una delle ondate di caldo peggiori di sempre, a Siviglia è partito un progetto pilota, proMeteo, strutturato attorno a un algoritmo che prevede le ondate di caldo con qualche giorno di anticipo, per classificarle a diversi livelli e preparare la popolazione.
È il primo caso in cui le ondate di caldo saranno classificate allo stesso modo delle tempeste tropicali e degli uragani, perché sono ormai calamità ugualmente gravi e impattanti.
Le ondate riceveranno il proprio nome. Lo so, abbiamo pensato tutti a La Casa di Carta ma no, i nomi sono Zoe, Yago, Xenia, Wenceslao Vega.
Io sono sta un po’ più naif, scegliendo un’unica definizione, “caldo di merda”, ma il senso è quello: non sappiamo più che nome dare al caldo.

La cosa è così seria, che iniziano a spuntare sempre più spesso articoli con la parola resilienza, da applicare al caldo.
E quando ci invitano alla resilienza, siamo fottuti: è un dato di fatto.

Il contributo del mondo social, a riguardo, è costituito da: foto di cruscotti in fiamme, bestemmie per il caldo, bestemmie per la pioggia, bestemmie perché la mancanza di ferie, bestemmie perché abbiamo le ferie ma ci siamo dimenticati come si usano, bestemmie in generale, così, nel dubbio. 

A sunto di tutto, cito il meme che ho visto girare più spesso e che recita una cosa tipo: “questa non è l’estate più calda della tua vita, questa è l’estate più fresca del resto della tua vita”. Dedicato ai ragazzini.
Che, non so, va bene tutto, va bene la consapevolezza, però: che ansia.
‘Sti poverini già hanno davanti un futuro che è quello che è, ci manca solo che facciamo i messaggeri di sventura. Lo sanno, maledizione. Lo sanno meglio di tutti noi. 

Hanno capito tutto. 

Un esempio: un ragazzo si è fatto fotografare agli esami di Stato, mentre indossava una t-shirt con su scritto: “la scuola italiana fa schifo”.
Provocatorio? Sì.

Poco utile? Forse.

Vero? Beh, dai: sì.

La DiMaioCrazia Cristiana

E potrei andare avanti, certo. Potrei citare la crisi di governo: Draghi si è dimesso, è ripartita la campagna elettorale, Salvini ha ricominciato a presentarsi con le Madonne, Meloni ha ripreso a urlare cose – no ok, lei non aveva mai smesso – Berlusconi si ributta in campo. E no, anche stavolta non lo farà per iniziare la nobilissima arte di zappare la terra, ma per piantare alberi. Dice che vuole piantare un milione di alberi, promette mille euro a pensionato. O era il contrario? Letta… boh, Di Maio l’abbiamo detto, Conte … insomma dai, niente di nuovo sotto il cielo.
Tranne che il cielo è in fiamme.  
E chissà quante cose ho dimenticato di citare, chissà quante ne succederanno da ora, a quando il pezzo sarà pubblicato. 

L’unica certezza è che è veramente un periodo che non accenna a migliorare. Ed è per questo, o anche per questo, che lo sguardo e l’espressione dell’addetto alla sicurezza del trapper Paky è virale: siamo nel guano più variegato e franabile possibile. La sensazione è questa. Simao in un grande, colossale periodo Di Maio.

Propongo anzi di chiamare questo periodo storico: DiMaioCrazia Cristiana.

Siamo tutti al centro, ci muoviamo a caso, uno vale uno, uno vale una poltrona, una corsetta verso la medicorità del già visto, del già dimenticato.
Una roba pessimista, lo so. Quest’estate mi è presa un po’ così.

Ma, per fortuna, è arrivato anche Iggy Pop. 

-Iggy Pop ha ricevuto il Polar Music Prize e ha ringraziato con un discorso che è finito così:

I am neither great nor real, I’m in showbiz.
At this point I’m a mythHappily, music is a form of myth, as children are mythic.
All beauties derives from believing in myth
But every so often… you gotta get real
Like Sleaford Mods, like maybe Viagra Boys.
Like balls.
That’s how I got here
So when you think about music, when you thik about this prize, if you remember me… thinks about the balls

Che è la cosa più bella, se non dell’anno, almeno della stagione. 

Ecco, ci tocca stare lì a saltellare tra bellezza e catastrofe, sogno e mito, non dimenticando mai di prendere, almeno ogni tanto, una posizione che duri un po’ più di una dichiarazione politica, (bastano 5 minuti); non dimenticando la necessità di essere un po’ reali e di avere soprattutto sempre e comunque palle

Che non è neanche una definizione pienamente moderna, perché ci sarebbe tutta la questione dell’anatomia femminile e del fatto che, definire la forza come qualcosa di associato agli uomini, fa tanto, troppo machismo.
Forse dovrei dire “dovremmo avere ovaie”. Ma se Iggy Pop dice palle, io dico palle

Che se mi resta una certezza, è quella di non voler contraddire quei due, tre miti -appunto- che mi/ci restano.