EDITORIALE

Come as you are, as you were.

di:

Oltre 10.000 persone, la stragrande Haitiana, ha attraversato 3000 km a piedi e a nuoto per giungere in Texas ed essere presa a frustate, letteralmente, da moderni cowboy di frontiera con tanto di spilletta da Rangers pronti a disonorare la loro nazione. O forse no, forse è proprio quello che la nazione si aspetta da loro. Facile a dire “siamo pronti ad aiutarli”, ma appena ti tendono una mano è molto più pratico girarsi dall’altra parte, magari dopo aver lanciato due lacrimogeni di contorno.

As I want you to be as a friend, as an old enemy.

E quindi i profughi afgani si, selezionati s’intende, ma quelli di Haiti no. E nemmeno quelli messicani, anzi sudamercani, anzi del sud del mondo, ma anche del nord. Tutti, forse è meglio dire tutti. D’altronde sono tutti nemici finché non hanno qualcosa da vendere di interessante. Non che qui in Italia si faccia meglio, cioè per carità si, ma si potrebbe sicuramente fare meglio. Proprio l’altro giorno dopo una fantastica giornata del rifugiato in piazza, nella mia città, qualche bravo italiano ha bruciato i resti della tenda della pace. Di che stiamo a parlà. Si vivrebbe meglio forse senza quella fastidiosa frase di sottofondo che qualche politico si ostina a ripetere fisso ad ogni intervista al Tg, come una zanzara chiusa nella stanza da letto insieme a te che cerchi di dormire: si parla di sport “si, ma i porti aperti sono un problema”, si parla di liberalizzare l’erba “si, ma i clandestini sulle nostre coste…”, si parla di prevenzione sanitaria “si, ma gli immigrati col reddito di cittadinanza…”, si parla di gelato al cioccolato e la storia è sempre quella: mai dolce, sempre salato. D’altronde parliamo di uno che se gli tocchi l’amico che vende droga in bottiglia è “una persona con problemi”, mentre tutti gli altri sono bestie di Satana che meritano la fine di Cucchi.

Take your time, hurry up. Choice is yours.

E allora parliamo di qualcos’altro, parliamo delle donne, anzi di 51 donne in particolare, quelle che dal primo gennaio 2021 ad oggi sono state uccise solo nel nostro paese, i “femminicidi”, parola odiosa, italiani: una giornalista, il cui cognome fa rima con “fegatelli”, come quelli che mi rosico dopo aver sentito certe robe, si pone il problema che magari proprio queste donne hanno scelto di rompere i cojones alla persona sbagliata aspettando solo il momento in cui venir fatte fuori. Come non averci pensato prima.

Come doused in mud, soaked in bleach, as I want you to be.

E magari morire soffocati dalla candeggina per mano di un mezzo matto – mezzo delinquente che salta dal balcone è la giusta fine che merita una donna che fa notare che non è interessata sessualmente, magari lo aveva esasperato con lo sguardo. Non farò nessuna lezione su cos’è e cosa non è un “femminicidio”, perché reputo che i nostri lettori abbiano il giusto grado di intelletto per comprendere che non esiste giustificazione ad un omicidio “per esasperazione”. E punto.

And I swear that I don’t have a gun. Memoria.

Per ogni momento della giornata, del mese, dell’anno, della vita, cazzo, c’è una canzone adatta, perfetta. L’arte è la nostra memoria emotiva e ha un potere straordinario: aiutare a definire meglio chi siamo o siamo stati, a ricordarci di quando siamo stati innamorati, felici, tristi, eccitati, goffi e timidi, spregiudicati e molesti, di quando hai quasi rubato un motorino per tornare a casa o di quella volta che tuo padre cantava per te in auto; questo o quel pezzo in particolare a volte basta a farci sentire meglio, a capire dove e come va la nostra vita. A volte invece serve solo a farci incazzare di più. Ecco, adesso direi che è il momento perfetto per incazzarsi di più, molto di più.