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"Ledi emotional day" è la rubrica del ledi diario di bordo in una giornata gheriglio. Dentro è scatola delle meraviglie, non sai mai cosa aspettarti ma qualcosa è sempre lì a tremare nell'ombra.

Ledi Emotional Day #12

di:

Ieri sera parlavo di Natasha Singapore. La mia cara Natasha, la mia travestita preferita. Niente, stavo persino pensando di raccontarvi, ma non voglio. Ho mal di schiena e la mia fase salutista, uff. Niente, oggi non mi va di scrivere, ma lo farò lo stesso perché il ledi emotional 12 deve essere pronto entro una certa data. Vediamo che esce da quest’apatia patetica e inutile. Ogni giorno per un anno farò la via Oreto a piedi, a Palermo. Mi piace questa strada perché so che non vivrò qui per sempre. Parto da piazza Marina e arrivo lì, dopo il ponte. Oggi ho preso nella farmacia aperta 7 giorni su 7 delle pillole “per la voce”. Potrei dirvi tante cose di me, ma preferisco che se le porti via la monnezza e nemmeno. Mi spiego meglio dato che potrebbero esserci eventuali lettori: mio padre una volta mi ha detto che se si desira conoscere la vita di una persona basta guardare dentro la sua spazzatura, dentro i sacchetti dei rifiuti, letteralmente. Io quindi ho sempre ben presente questa frase che condivido abbastanza e mi muovo di conseguenza. Nella possibilità che qualcuno possa guardare dentro i miei rifiuti, comprometto e baro. Certo non mi è facile perché il flusso del rifiuto è ipermonitorato e anche se a volte ci ho pensato, non posso buttare la monnezza nel cesso pezzo dopo pezzo o darle fuoco. Ma mi comporto come se ci fosse qualcuno là fuori pronto ad aprire delle indagini sul mio conto per trovarmi incontrovertibilmente colpevole, chiaramente. Cioé, voi mi direte “mmacchittesencula”, ovviamente. Però non dovreste sottovalutare ciò che è fuori dal vostro campo visivo e acustico. Per esempio, giù in piazza Marina, nessuno sa che da una certa grondaia esce la mia pipì perché la faccio direttamente nuda in terrazza al quarto piano mentre mi bagno con l’acqua fredda del tubo. Ecco, un passante colto accidentalmente da quegli schizzi, mai potrebbe sospettare che alcuni metri sopra di lui c’è una tipa che sta pisciando mentre prende il sole in terrazza, e io non saprò mai se e chi sarà quel o quei passanti. Non ne ho proprio idea, ma questo non può fermare il mio agire, perché indiretto. Se pisciassi direttamente sui piedi o sulla testa di qualcuno sarebbe diverso. Probabilmente renderei felici le persone o le farei incazzare a morte, in alcuni casi prenderei botte. Chi lo sa. L’azione diretta è per gli eroi e io mi chiamo Leda Gheriglio quindi la parola eroe non è né nel nome, né nel cognome. Accidenti. E vabbé, pazienza. Poi, potrei mettere qui le mie liste della spesa per allungare il brodo perché oggi voglia proprio zero. Il cielo è plumbeo, sembra che stia per esplodere temporale, ma non accade e la situazione è così da svariate ore. Sono tornata dopo molti anni alle Catacombe dei Cappuccini ed è cambiato tutto. Ci sono inferriate per rendere le salme inaccessibili, non si possono fare foto, tutto vietato. Boh. E pensare che quella è tutta gente morta, stecchita. Di alcuni si conoscono i nomi e i cognomi, ma boh. Se il mio corpo morto ed essiccato venisse riposto in un luogo simile, io davvero non so a chi potrebbe importare del mio nome e cognome fra 100 anni, già forse fra 50. Passeggiare a piedi è l’unica forma di raccolta informazioni sul mondo cui voglio attenermi. Alberto Sordi gridava che “se la bomba esplode prende pure a te”, ma siamo in un momento storico del fottesega, o meglio, io sono in quel mio momento storico della mia vita e a dire il vero è sempre stato così. Non posso controllare gli eventi, poche cose sento sotto il mio controllo, lo sfintere è una di quelle, ma le eccezioni non confermano tale regola per cui… quello che succede, succede. E ci si prende le quieti e le tempeste, la ricchezza e la povertà. Madonna che noia, sto scrivendo scemenze e non ci sono più le mezze stagioni, giusto? O no, ci sono solo mezze. Ma che ne so, io mi annoio.

Un anno fa circa debuttavo al Mercurio Festival, con Ti vitti ASMR. Quest’anno ho invitato i PIS (Max Illuso, Fabio Vassallo, Fabio Facci Arcifa) con Guido Volpi, per una serata trpp pazzesko le emozione che avrà luogo a Palermo il 28 settembre 2023. Il cantiere è già operativo da una settimana per la costruzione del mostro che dorme e io sono commossa e profondamente eccitata da questa avventura. Ho portato la Bologna che amo a Palermo e i mezzi sono stati quelli delle occasioni, delle preferenze, delle discriminazioni. Il dono esclusivo degli dei, non ve lo dico. Canicola, canicola agostina. Questa afa feroce mi rende sempre appetitosa e fiacca. Golosa è il mio secondo nome e sto vivendo un momento di rinascita e di stasi. Uff, niente, non riesco a decollare. Ho la testa strapiena di cose, tantissime, inutili, utili, un bazar pieno di casino. Vorrei tornare a parlare di quella ragazza che si aggirava furtiva e che aspettava solo un cenno, un gesto, un cazzo grosso, ma niente. Solo sputi e cazzotti e le piacevano pure tanto. Vorrei raccontarmi come un maschio sfigato, morto di figa e non dover più andare in giro come se fossi un travestito, un impostore. Perché il mio è un travestimento credibile, perciò tiro in ballo l’impostore. Anzi, forse è meglio che io lo tiri sul divano, ballare stanca e non sempre è appropriato alle circostanze. E le stanze del circo, sono forse quelle della famiglia? Ricordo una voce scritta su una rivista che diceva: “Usava un linguaggio spaventoso. Sopravvissuta a tutti i tabù del sesso, delle escrezioni, dei soldi e delle classi, parlava il dialetto dell’inconscio, adoperando la parola più immediata senza riguardi per le inibizioni e i pudori dei suoi ascoltatori”. Si tratta di pagina 127 dell’Europeo del 2 novembre 1972. Mi piacciono le riviste solo se datate in certe date. Gli umani scrivevano meglio, mettiamola e semplifichiamola così. Comunque si tratta di un articolo intitolato Dove le nonne erano chiamate nonne di Alan Brien.

Sono stata plagiata dall’obbedienza, è questo il problema, altro che essere o non essere, quello è cosa già ben chiara e oscura. Ciò che mi soggioga e annienta è tutto ciò che io non cerco, ma trovo e non fuggo. E poi tutto si fa così semplice, e cosi complesso, e così fottutamente ripetitivo. E i pensieri vorticosi sono una costante e le immagini e i suoni di troppo, pure. Ho fame, vado a fare uno spuntino. Fateci caso, anche voi avete famina, eh? Ho impastato il riso basmati in bianco avanzato da ieri, freddo, con un miele super liquido data la temperatura ambiente di 35°. Oggi niente tubo in terrazza, oggi sono tornata a piedi intontita, sempre di più, serena. Mi fa bene privarmi del sonno in alcuni momenti, perché mi stronca la velocità e la benzina interiore. L’assicutamento è meno greve e tutto ciò che è grave posso vederlo così come lo vedrei senza i miei abiti nevrotici che non ho comprato io e che ho trovato già sul mio corpo. Come stare su un fiume, non sapere più parlare, non volere più parlare e avvicinarsi come se fosse antani. E quello è il risultato di tutta una vita scandita da esercizi comportamentali contenitivi, dall’avanti del tempo, dalle cose che sono solo belle e naturali nelle sue labbra, labbra quelle dell’amico/a. Le parole mute e le parole parlanti che scivolano e resta solo una sensazione, mutevole, mutevole e volitiva. Eccola, quello stacco dalla condizione base ad altre condizioni base. Non scrivo più niente nel 12. Restate con me, c’é chi sta stampando e collezionando questa rubrica e non c’è vanto, c’è solo intimità.

Disegni e foto di Leda Gheriglio.