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"Ledi emotional day" è la rubrica del ledi diario di bordo in una giornata gheriglio. Dentro è scatola delle meraviglie, non sai mai cosa aspettarti ma qualcosa è sempre lì a tremare nell'ombra.

Ledi Emotional Day #14

di:

Questo è il mese di novembre. Questo è il mese di novembre? Senza pensare, a volte scrivere senza pensare è liberatorio come cadere, come dormire, come dimenticare. Sorprendentemente si stacca il cervello per così dire e non si collega troppo alla stesura della scrittura. Così vengono fuori cose scritte senza pensieri. Cose poco ragionate e lavorate e quindi forse più banali e meno interessanti, ma sempre flusso di linguaggio sono. Molta acqua, molto calore in questo mese arido e freddo. Siate fedeli all’esser “Io”, me. Leggetemi come se foste me. Questa scrittura và letta da dentro verso dentro, non da fuori verso dentro e lo vedi che la cosa è reciproca. Quindi io legge me. Tutto chiaro. Tutto chiaro? Tutto chiaro.

Quella stanza prima non era una stireria e ci stava lei, ma io sono convinto che ci stessi io. Invece, pensandoci bene, la camera dei miei genitori era dove ero io; lei era nella camera dove erano i miei genitori e io ero dove adesso c’è la stireria. L’asciugatrice arrivò dopo il ferro e l’asse da stiro, ma questo ha poca importanza. Quel che importa in questo ragionamento è come siamo arrivati all’ora, al qui da quell’ora e da quel lì/qui. Adesso il ragionamento qual è? Pensare di mettere lui nella stanza che era mia (che non è più la stireria, attenzione!) ma poi considerare l’altra possibilità, quella che era la stireria, ex camera mia, e mettere lui lì. Sto mangiando dei torroncini e sono così buoni che la mia bocca si commuove e sbava, sbava copiosamente. A me piace sbavare, a me piace purché non sia densa, ma acquosa.

Questo mese è un mio mese, nel senso di “io legge me”, e la sauna è diventata il mio posto d’attesa, il luogo dove si spegne e accende contemporaneamente la luce. Uno spazio di vuoto privo di pathos. E nel sapermi maschio e nel sapermi strega io mi trovo squassata dal dolore intellettuale ed emotivo trpp pazzesko l’emozione. Un dolore che non proverei se fossi e facessi DESIDERIO. Amo il sottointeso, togliere e perdere per riprendere e ridisperdere. E poi è arrivato Il buon auspicio, dono di un amico che sente da lontano. Avevo per le mani La strega, ma ho interrotto nervosamente e quasi con fastidio perché non ho resistito alla tentazione di sbirciare, in tempo prematuro, il dono. E ora mi ritrovo a dover leggere più di 500 pagine prima di tornare al testo che avevo scelto per questi miei giorni. I giorni della scoperta di ‘sto cazzo, giorni in cui mi guardo e mi vedo in un altro modo. Mi sento e mi vibro meglio e c’è un bagliore che non cessa di scintillare senza nulla che possa spegnere e offuscare. Sono abbagli? Di certo sto facendo un divertente gioco con i pronomi. Sto utilizzando il pronome in prima persona singolare “io” sia per dire “IO” che per dire “TU”. Adesso però mi fermo per non confondervi più del sopportabile: avete mai fatto questo gioco? Parlare con un’altra persona sostituendo il pronome TU con il pronome IO e mantenere per sé il pronome corretto ovvero IO? E’ molto divertente e ridimensiona tantissimo ciò che diciamo e come lo diciamo e soprattutto cosa vale la persona che parla e cosa vale la persona che ascolta. E’ un buon modo per imparare rapidissimamente quanto sia bello il silenzio. E la carne; ciò che è materico è più difficile. Tutto quello che è carne è più difficile. E io voglio avere riscontro di me, voglio vedermi, voglio cingermi e sentire il peso di ogni grammo di carne e la sua esistenza anatomica sfrontata in ogni sua caratteristica. E sapere che di questa carne che non ho messo sulla griglia potrei farne forme e acrobazie e ricette saporite, mi gode e mi frustra. E’ carne di pietra, potenzialmente sarebbe stata tutto e potrebbe ancora essere qualcosa, ma è sola di fronte al suo destino e vorrebbe essere mangiata e vorrebbe essere modellata, ferita, massaggiata, tesa, coperta, levigata e così via, ma non sa farlo da sola, ha bisogno di me e del mio desiderio per me.

E nella mia scrittura scopro che anche la mia è uguale (si, ho ripreso a giocare con i pronomi). E sono bellissima e sconfitta e anche io mi sento così e questo è l’unico bagliore adesso, il bagliore che sostiene tutto ciò che non esiste se non per me e me soltanto. Mancano gli strumenti, manca la terminologia, non mi basta più la mia conoscenza. Ho bisogno di acquisire nuova conoscenza per mutare la mia intelligenza, sento che ho bisogno di supporti differenti per continuare la mia esistenza. Esistono aggiornamenti cerebrali di lusso? Li vorrei, tutti. Ho bisogno di poter leggere e di poter scrivere più veloce; ho bisogno di poter star zitta senza proferir parola per tante ore consecutive; ho bisogno di superare tutto ciò che già so e senza alcun intuito procedere in modo straordinario verso ignoti vari e ovvi. So che non è da me, so che rischio di rendermi ridicola a me stessa, ma a sto giro io sono così stretta e legata saldamente a me che niente di ciò che faccio penso sia così importante rispetto a me e a quello che potrei fare di me e con me. Pausa, torno a scrivere più tardi, quando torno, eviterei il deliquio e il delirio insieme.

Rieccomi. E’ passato un giorno e ora non scriverò più giocando con “IO” e “TU” usando solo “IO”. Il corpo tangibile deve essere il corpo intangibile, questo penso ora. E mentre c’è ancora scissione, i due corpi di separano, si avvicinano, si riallontanano, si avvertono etc. Per coincidere ci vorrà tutta la vita e nel frattempo sarei qualcuno per me e per gli altri. La brutta immagine, la condanna. E chissenefrega di cosa sono, di come mi penso, di chi sono stata e sarò. Tempo perso. E nei racconti che potrei farvi ne ho già dimenticati tutti, non tanti. E da questa casa che è nave, si vede la statua che sta sul tetto della chiesa di San Francesco. Solo da qui la si può scorgere per metà della sua altezza. Quello che non si vede esiste molto più di quello che si vede. Mi piace il corpo maschile, così tanto che l’ho preso in me, ma male. Così ho le goffe fattezze di una donna adulta e di un ragazzo acerbo. Come si muove questa carne nello spazio? In scissione e obbligata fusione. E mentre cammino moltiplico. Farei le scale, usando solo due scalini per una salita camminata ferma sul posto. E nel frattempo, questo movimento sul posto rimanda problemi alle ginocchia. Averne cura per non lasciare che gli accadano cose orribili. La linea piatta e regolare che sembra protendersi verso l’infinito poi si interrompe. Ah, ho capito! Allora tu sei masochista! Ma se il dolore ti fa piacere, il piacere ti farà dolore! E via, ancora, in movimento sognando la semiimmobilità orizzontale. E muoversi, cercando di trovare nel proprio ritmo quello degli altri e in quello degli altri il proprio. E poi la danza scema, si dilegua per tornare altrove. Prendo oggetti, ce ne sono tantissimi. Osservo gli oggetti degli altri, osservo gli oggetti. E la percussione tiene la misura del contrasto tra la vita immaginata e la vita reale. Tengo il tempo senza averne contezza, perché immobile e flessibile. Esistono parole che non sono ancora state inventate e poi usate. Esiste la possibilità di non ascoltare mai l’altra persona, mai. Riesco a stare in sauna al massimo per 15′ e vorrei riuscire a starci per 20′, 30′. Vorrei peli lunghi e inestricabili, liscissimi e luminosi, scuri e fitti come le pubblicità dei capelli. Vorrei non averne niente perché mi fanno schifo e ostacolano tutto. Vi butto una mia poesia, parte della raccolta “Scampoli da riporto”, stampato in 25 copie nel 2019 con Kina snc:

SCATOLAME

sono l’escremento che espello

mentre i miei gatti in scatola fissano il puntello

che verticale sporge dal mio cervello

grazie amico che mi dai la tua simmenthal

mastico la carne in scatola e l’effetto benefico del veleno agisce in pochi secondi

e il corpo cede e il corpo è forte

amico che vedi la mia faccia triste provvedi al mio adeguato nutrimento

simmenthal agisce subito e mutate emozioni speri mi riportino in alta quota

amico, al mio risveglio la gelatina della carne è dentro

occhi cisposi di gelatina

corpuscoli di emozione incrostati rotolano giù dalle guance

grazie amico della simmenthal

“Sopra il castello di carte, stella di mare sulla scia di Marte” diceva una canzone dei Matia Bazar. Ci vuole tecnica e avere il coraggio di esser notturn pescatore. Nella notte e nel buio tutta la vita si muove e respira. E pescare da pesce pescato, te lo si può far fare. E dibatterti, e sbattere e tenderti e tirare e tanti altri verbi feroci come arco e frecce. E io non so ancora con quale tu sto parlando. Vuoi essere tu che leggi il mio tu? Vorrei che fossi tu. Ehi, ciao! Tu, ciao, vorrei vedere un film con te mentre non lo guardiamo e facciamo come se non fossimo né lì, né in compagnia l’uno dell’altro. E quanto mi piace la musica e pensare che forse avrei potuto saper cantare o suonare. Ma ci sei tu che lo fai per me e quindi lo faccio anche io. L’azione coordinata in due permette che le due diversità coincidano solo su un fascio luminoso del vastissimo spettro disponibile. E già questo è tutto. Così io ti voglio bene, così io penso di volerti bene. Cosi tu non sai che ti voglio bene. E oggi inizia questo gelo che taglia, il freddo (!), che cerchi un cappotto decente, che possa vestire l’immagine che hai di te e invece no, trovo solo una giubba di lana cotta, rossa. Il rosso, un pò corallizzato per così dire, con una punta d’arancio rosato dentro, mi sta bene, mi fa sentire potente. E la mia potenza dove si trova se non nel frigorifero che tiene tutto al freddo, rimandando. E le palle grosse sono una meraviglia non solo per l’estetica, ma anche per l’olfatto e il tatto. Forse riesco a sentirne anche il suono e viva lo scroto, ipocrita. Il colore e il sapore e la consistenza di una lingua a fiammella, una lingua tutta piena di bagnume e di muscolatura affamata di slancio. Che bella la lingua, quanto è potente nelle sue possibilità ridotte. E’ come se partisse da zero a cento verso fuori, schizzando come un serpente e poi quella catena che trattiene e rende tutto così forte. La lingua è potente perché è in prigione e può arrivare un pò più in là, ma non oltre. Questo consente di attrarre nell’antro, questo consente forza e libidine al corpo che è abitato da quella lingua e agli altri corpi con altre lingue dentro.

Non credo di aver altro da aggiungere se non che la mia voglia di dolci è alle stelle e sogno montagne di panna soffice e fresca non zuccherata per poter ingoiare qualcosa di immensamente squisito. E resto pesante, e mi penso fuscello ed è esteso tale pensiero al punto da cogliere ogni tentazione. Uff e non ho ancora imparato a cucinare come vorrei servirmi da mangiare. Ma questo è un altro modo per volerti ancora bene, ancora più bene. Laverò i piatti, ma dipenderò sempre dal tuo cucinare che mi fa mangiare come e cosa vorrei mangiare. Così saprò che avrò sempre bisogno di te. Ti voglio bene e chissà se tu ne vuoi a me. Ma non importa, a me non interessano queste cose. E una volta mi hai detto che ti viene difficile rispettarmi dato che non ho rispetto per me stessa. Questa, bebi, è una frase che contiene il nulla. In tutti i sensi possibili. Non la contesto argomentando, la rifiuto e basta.

Eccola che passa davanti a me in ciabatte con tacchetto e piume. Penso che Natasha abbia comprato queste scarpe in un negozio di lusso anche se sembrano roba cinese da un euro. Ha questa abilità, lei. Compra abiti che sembrano super cheap, ma li paga tantissimo. Poi le maglie e le gonne e le cazzate tutte alla fiera. E fa la gran signora puttana. Non capisco né lei, né quell’altra di Salvina che pensa di risparmiare rammendando camicia, persino mutanda e calza. Salvina usa solo colori smorti e in modo maldestro cosine a fiori. Inguardabile, eppure pulisce così bene che non puoi crederla mentalmente elementare, priva di strutture. Io non ho stile, ma lo dono volentieri a loro che possono essere coerenti.

Le foto sono autoritratti di Alessio Anastasi che finge di essere John Coplans.