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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Carlo Pisacane, l’amore al tempo delle A.I. – la macchina animale umana e l’amore libero dei cani (uno studio sulla libertà d’espressione o qualcosa di simile).

di:

Immagine di copertina a cura di:

Francesco Stella, Matilde Colucci, Beatrice Veronese

3C Liceo Artistico “F.Arcangeli” di Bologna

INTRO BY CHAT GPT:

La prima coppia, moderna e avida di emozioni, si incontra tramite scorrimento di foto e messaggi superficiali su un’app di dating. La loro relazione è virtuale, basata sulla ricerca costante di qualcosa di più eccitante della routine quotidiana.

La seconda coppia, invece, si incontra grazie ai loro amati cani, che portano regolarmente al parco a correre e giocare. Il loro legame cresce lentamente attraverso conversazioni casuali e passeggiate al sole, forgiato da un amore comune per gli animali e la natura.

Entrambe le coppie cercano l’amore e la felicità, ma mentre la prima si affida a un algoritmo per trovarlo, la seconda lo trova nella semplicità delle piccole cose. Una scelta di stile di vita diverso, un modo diverso di guardare il mondo e di relazionarsi con esso, porterà loro a destini diversi.

Chissà quale coppia avrà più successo nella loro ricerca dell’amore vero?”

“Ecco l’atroce decadimento dei costumi sociali! Oggi si vive in un mondo dove la moralità, l’etica, sono state sotterrate dalla brama ossessiva di piacere e successo effimero. La tecnologia, colei che ha dato origine a nuove forme di schiavitù e di solitudine, e la cultura delle celebrità e dei social, hanno stravolto i valori e le aspettative della gioventù.

In quest’epoca in cui tutto è a portata di mano, pare che la pazienza, la perseveranza, la virtù siano divenute qualità dimenticate. La società è meno umana, meno pietosa, meno attenta ai valori fondamentali come la verità, la giustizia, la solidarietà.

Questo degradamento dei costumi sociali ha conseguenze catastrofiche per la salute mentale e fisica, per la coesione sociale, per la stabilità politica. Eppure, quanti sono quelli che hanno il coraggio di parlare, di lottare per un cambiamento?

È giunto per te il momento di riscoprire i valori fondamentali, di impegnarsi a essere persone migliori, a costruire relazioni sane, a creare un mondo più equo e solidale per tutti?”

Carlo svuotò l’intero contenuto della latta dentro la ciotola di Janette. La paffutella Labrador gli andò frettolosamente incontro scodinzolando saltando dal divano per andare a divorare avidamente il pasto.

Mentre il cane slurpava la pappa Carlo pensava che a breve avrebbe dovuto scendere il cane a pisciare e rise.

Rise perchè da bravo meridionale non utilizzava mai l’intransitivo e il modo classico per i cosiddetti polentoni per percularlo era proprio questo: “scendimi il cane a pisciare”.

Era fiero del solo pensiero ed era felice di chiamarsi pure Carlo, come il patriota e socialista ben più famoso Pisacane.

Si era da tempo battezzato Carlo Pisciacane da quando si era trasferito nella (per lui) lugubre Torino, luogo che viveva abbastanza in solitudine e con le difficoltà di chi si trasferisce per lavoro di instaurare relazioni sociali, provando pena per sé stesso e la sua condizione sentimentale pressoché inesistente; si certo aveva – ovviamente – installato diverse app di dating per cercare  un po’ di compagnia, ma era un’ardua impresa, sentiva che mancava qualcosa quando finiva ad per incontrare il match eventuale.

Cacciò via quei pensieri e prese il guinzaglio nuovo. Attese che Janette finisse di mangiare, leccandosi gli ultimi rimasugli rimasti attaccati alla ciotola di alluminio.

Faceva abbastanza freddo e il parco del Valentino con quella nebbia sembrava più desolato che mai, si chiese se anche la tizia che era solito incontrare quando andava a passeggiare il cane avrebbe optato anche lei per la solita passeggiata del suo Golden Retriever, nonostante la nebbia, al solito orario, come sempre.

Non erano mai andati oltre al sorriso e a cenni di saluti incompleti, lei lo guardava spesso, ma Carlo, da bravo imbranato, non riusciva a farsi avanti. La sua comfort zone lo bloccava, con l’avanzare dell’età era diventato pigro.

Lei era stupenda per lui, non era l’ideale di donna burrosa che propinavano le pubblicità, in quel periodo era magra, sembrava abbastanza piatta di seno (lo sguardo di Carlo correva sempre lì) e il contrasto tra il capello rosso e gli occhi chiari lo affascinava tantissimo. Un tatuaggio le trapelava dal collo.

La incrociò proprio mentre lui fantasticava su di lei poco dopo l’imbarco del Valentino, lì stava quel grande spiazzo di verde ampio in cui liberare per un po’ i cani stando sempre attenti a quelli degli altri. Non voleva mica che finisse in tragedia. Da qualche parte qualche cartello indicava che era obbligatorio tenere gli animali al guinzaglio, ma in Italia, seppur nella rigida Torino, alla fine gli obblighi erano indicazioni futili. Il paese, il cosiddetto bel paese, era ormai allo sfacelo per tutto ciò che riguardava l’ordine civico.

Sulle panchine pochi umani col capo chino sugli schermi dei loro smartphone si affannavano a digitare senza pietà. 

Chissà se stanno cercando disperatamente match come me quando mi sento solo.

“Ciao” – disse lei spiazzandolo mentre era immerso nei suoi pensieri e quasi si era dimenticato del suo cane, quando si trovarono a meno di due metri di distanza – “Che tempo di merda, eh”.

Lì per lì Pisciacane rimase un po’ imbambolato poi riuscì a rispondere “Buondì, si tempo abbastanza del cazzo ma Janette è abitudinaria e, beh, anche io” concluse con una risata sperando di essere stato capace di quel mix tra brillantezza e simpatia in cui confidava quando voleva fare una buona impressione sul prossimo. In questo caso su di lei. 

Lei soffocò male una risatina nervosa e repentina, o almeno Carlo ebbe quell’impressione.

  • Sai, io penso che a volte sia Bernie a portarmi fuori, meno male perché oggi è pure il mio giorno libero e sarei sprofondata nel divano a guardare qualche serie tv di cui non freghi granché, anche se, beh, stare a casa con la formula plaid & TV non è affatto male”.
  • Anche a me piace ma, ehi, lo so che vuoi dire: siamo noi che ci prendiamo cura di loro ma alla fine sono in realtà loro a prendersi cura di noi, o perlomeno Janette si prende cura di me, vero piccola”?

Accarezzò l’animale e lei rispose con una leccatina delle mani.

  • Beh ci facciamo passeggiare da ‘sti mucchi di pelo?” 

Esordì Carlo ostentando una sicurezza non troppo efficace. 

Imboccarono uno dei viali che portano verso l’esterno del parco lasciandosi il Po alle spalle.

Proseguirono sul vialone che portava verso il centro storico della città facendosi un po’ passeggiare dai cani, un po’ cercando di dissimulare l’imbarazzo misto a eccitazione che si prova solo quando due sconosciuti provano a comunicare, fino a quando Carlo si fermò di fronte a un manifesto che sembrava stato imbrattato con della vernice di recente…

Il manifesto raffigurava l’immagine di una donna senza volto, o meglio il volto lo aveva ma era coperto completamente dall’hijab e al posto del vuoto che dava spazio agli occhi c’era un’altra striscia di tessuto intrisa di sangue. Era la réclame di una nota fondazione internazionale di raccolta fondi per le popolazioni in difficoltà e a favore dei migranti. Qualcuno lo aveva imbrattato di fresco con della vernice fresca e la scritta “Chiunque vuole che tu nasconda il tuo volto semplicemente rifiuta il tuo essere al mondo. FREE IRAN”.

SI fermarono entrambi a osservare e rimasero in silenzio per qualche istante, anche i rumori del traffico sembravano attutiti.

  • E pensare che poi noi ci lamentiamo della nostra solitudine a causa del lavoro che ci aliena. Fermi ad ammirare i nostri pesci rossi sentendoci in colpa perchè li costringiamo a vivere in delle bocce facendoli girare intorno e alla fine pensando che siamo anche noi nelle stesse condizioni, schiavi di un sistema che non ci fa pensare a chi sta peggio ma solo a desiderare di stare meglio avendo di più.

Carlo pronunciò quelle frasi con nonchalance e penso subito che avrebbe dovuto mordersi la lingua, pensare ad alta voce aveva capito era l’anticamera del rifiuto sociale, aveva imparato che per essere accettato dal prossimo o non doveva essere sincero ma fingere, imitando i suoi simili e quella loro inutile voglia di darsi un tono per sentirsi importanti nei contesti sociali.

Nella società occidentale non c’era più spazio per le riflessioni sulla libertà e la possibilità di esprimersi, il tutto era relegato ai discorsi del cazzo dei VIP alla tivù, ma nessuno apprezzava più quel genere di cose come la cultura alternativa, la contro cultura e i suoi derivati: se non volevi restare da solo bisognava essere come tutti gli altri, omologarsi alla dopamina da like era l’unico metodo per provare a cercare un’affinità con un altro essere umano. Pensò che sicuramente questo poteva essere il momento in cui lei si sarebbe congedata, guai a esprimere la propria opinione. Inattesa invece arrivò la sua risposta.

  • Diciamo sempre che meritiamo di più ma non pensiamo mai a chi sta peggio, hai ragione. A me dispiace, poi capiscimi sono una donna e forse mi sento ancora più frustrata e impotente di te a pensare a quello che succede in medio oriente, e in fin dei conti nessuno dei nostri flaccidi governanti riesce a pensare qualcosa perchè turbare l’equilibrio è troppo complicato e tutto sembra una grande polveriera sul punto di esplodere, cioè mica sono stati anni sereni gli ultimi 40 ma oggi sembra ci sia una pressione sociale ancora più vorticosa e chissà cosa cavolo potrebbe succedere.

Carlo rimase di stucco. Non si aspettava tale risposta nonostante avesse recepito la sensatezza e normalità della riflessione appena enunciata, per un attimo si senti rincuorato e penso alla normalità, all’empatia che scaturisce a priori senza guide forzatamente morali, religioni, dottrine o stupidi discorsi di quella idiota di influencer che adesso stava pure in tivù un giorno si e uno no. Voleva rivolgersi a lei cercando attenzione come faceva sua madre ogni volta che lo rimproverava per qualche marachella fatta da piccolo. Si rese conto che non conosceva neppure il suo nome

  • Aehm, ti rendi conto che volevo pronunciare il tuo nome ma non ci siamo manco presentati? Sai com’è, quando un essere umano cerca di catturare l’attenzione dell’altro lo chiama per nome di solito. Piacere io sono Carlo.

Tese la mano verso di lei.

  • Piacere Elisa. Disse lei
  • Piacere Carlo. Rispose lui.

Osservarono i loro cani che iniziavano a stuzzicarsi per gioco, e procedettero lungo il corso senza dire nulla, ogni tanto si guardavano e si sorridevano a vicenda. Sguardi d’intesa come classici prodromi del volerne sapere di più sull’altro.

Elisa a un certo punto si fermò di fronte a un grande palazzo ottocentesco. 

  • Io sono arrivata. Non so come siamo arrivati sino a casa mia e ti ringrazio di avermi fatto compagnia, ma ho tante cose da fare e mi si aspetta per cena.

Carlo rimase pietrificato, quell’ultima frase a cosa poteva alludere? A un partner? A un amico? A un coinquilino?

Prese una grande boccata d’aria e rispose.

-Figurati mi ha fatto veramente piacere passeggiare assieme coi cani, era da un po’ che non arrivavo così lontano da casa mia, è stata quasi un’avventura.

Rise. Cercando di sdrammatizzare la frase del cazzo che gli era uscita.

Le tese la mano e la salutò con una stretta di mano esclamando “è stato un piacere!”

Carlo rimase lì a guardarla mentre lei frugava la borsa in cerca delle chiavi per aprire il massiccio portone d’ottone.

Elisa salì a casa, liberò il cane che si andò a stendere sul cuscino messo in un angolo del piccolo salone, posò il guinzaglio e cominciò ad apparecchiare la tavola.

Lo faceva per due persone.

Fu attenta nei minimi particolari, persino nella scelta dei calici. Scese i migliori fra le serie spurie che aveva, accese una candela e andò a cucinare lo stufato.

Alla fine posò la casseruola fumante sul poggiapentole messo al centro della tavola, distribuì lo stufato nei piatti e si andò a sedere nel suo lato del tavolo.

Iniziò a mangiare da sola ma apparecchiando per due, da un certo punto di vista anche quella era una forma di libertà data dalla solitudine, fantasticare su un partner inesistente, cenare lo stesso in due, godersi il servizio da tavola migliore.

A fine pasto si avvicinò alla finestra da cui sapeva che in lontananza si sarebbe visto il parco. Fantasticò su Carlo, forse doveva invitarlo a cena ma poi pensò che in tre magari non era il massimo. Forse doveva cercare un’amica per l’occasione o forse bastava semplicemente apparecchiare per quattro