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Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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Livore 09.2023

di:

Ho iniziato questo livore una dozzina di volte salvo poi cancellare tutto. No, non è blocco creativo che minchiate ce ne sono tante in giro e vanno pur raccontate, dalle polemiche per lo spot dell’Esselunga a Mick Jagger che si fa le foto a Catania e tutti ci tengono a farlo sapere. Si insomma, il classico inquinamento social che mi piace tanto criticare.

Volevo però parlare di un concetto interessante che sta a metà strada tra la rinuncia e il post-rock, tra paesaggi algidi e le pillole per la gastrite e il reflusso che devo ingurgitare, tra i soldi che non ho e investo in promozione per i dischi della mia etichetta e il “che” polivalente e il suo abuso che ne faccio che mi fa stare male che mi fa rincoglionire che mi fa scrivere ad muzzum.

Lo schifo principale è il ritorno del caldo settembrino tipico della zona mediorientale in cui vivo (Catania è Beirut in un certo senso), la convinzione degli pseudo artisti che vedo in giro  che è assolutamente peggio della peggiore pazzia ormai, l’idea di organizzare eventi che poi penso ma chi me lo fa fare, le imprecazioni, PRC MDN, il 5g, i problemi lavorativi, la paura tipica di chi è abituato a idolatrare i negrieri che chiama Boss, le sigarette (mi sono finite ma non le voglio comprare), le sfrizionate in salita, i motori diesel che non esistono più, il green washing, la green economy, il solito capitalismo, il buonismo e il moralismo imperanti, il politically correct, le soverchierie sentimentali, la gente che ti deve attoppare a casa di notte.

Odio et Amo la qualsiasi.

Ashoka, Loki e la voglia che ho di rifiutare i contesti sociali.

Voglio una sigaretta.

Le cuffie di notte, le sessioni infinite alla ricerca del suono adatto da spalmare assieme agli effetti da incastrare su quelle 7-8 tracce impalcatura di un brano, rifiutare, non parlare, non uscire di casa che tanto nella città in cui vivo con cui dovrei avere piacere nel confrontarmi? Dove sono questi intellettuali con cui prodursi in discorsi appaganti?

La migliore forma di entertainment da salotto l’ho vissuta qualche sera fa con una coppia di ventenni, mixando nello stesso discorso Max Weber, i Black Sabbath, lo straight edge, le filosofie seicentesche, i fluidi con lo smalto, il funk, il basso, la birra artigianale, le madonne apotropaiche, le vene varicosa della vicina di tavolo, le tette della tipa ieri al chiosco.

Paraurti Infranti.

Dominanza sociale.

Nostalgia sovietica.

Giuseppe Stalin.

“Io sono vivo voi siete morti”.

Vivere di minchiate, vivete di minchiate.

5000 euro per entrare in Italia.

“La Libia, stiamo diventando la Libia”

Ho appena fatto una pennichella al bar Galatea (da dove attualmente scrivo), 15 minuti di Power Nap esistenziale frantumati da clacson, attacchi d’ansia, la paura di essere giudicato come uno che dorme seduto.

La paura che ci fotte sempre, ma paura de che.

Come quella volta a Lentini che alla mia amica che si era appennicata le guardie andarono ad ammonire che non si dorme sulle panchine.

E perchè no? Se ho sonno in questo fottuto pianeta non potrei dover dormire dove e quando mi pare?

Non capisco: ho sonno dormo per strada = offesa al decoro.

Delinquente e pregiudicato = prego cammina pure col tuo scooter senza casco, fai il cazzo che ti pare, tu sei la società.

Non è che c’è qualcosa che non va, è che è tutto al rovescio oramai.

Ho la maglia sudata ma c’è ombra e il venticello.

Vorrei stare a letto ma ho due riunioni per organizzare concerti, come se ne valesse qualcosa, ma, ehi, siamo la resistenza.

Si, mentre l’impero ammanta tutto di deficienza e cattivo gusto, quelli che godiamo imperterriti dell’arte siamo la resistenza oramai.

Il resto è danza, ketamina, egoismo e sesso scadente.

Wow! Che mondo pazzesco.

È il momento di acquistare una spada laser.

“A vacca all’acqua”.

Nel frattempo cambia lo scenario: abbiamo news più importanti in generale e che interessano anche i frequentatori dei social network che al giorno 10 ottobre danno peso alla ragazza tedesca morta in un Rave mentre non si cagano di striscio la ragazzina palestinese morta durante la controffensiva. C’è da dire che in questo momento in cui scrivo le notizie sono confuse. 

C’è sempre un nemico, ma il nemico chi è se non noi stessi?

 Penso a quelle stesse persone prima si schieravano dalla parte dell’oppressore: i tifosi putiniani quelli de ”ah, ma è colpa della nato”. 

Non è una questione complessa, non c’entra quel prezzolato di Orsini, la questione mediorientale è poi semplice, da un lato c’è un gruppo terroristico finanziato più che bene e dall’altro c’è una nazione che non era tale fino al secolo scorso e che ha eroso sempre di più i confini dell’altro paese: eccola la pentola a pressione mediorientale: war for territory. Ancora oggi nel 2023 non si è giunti ad un accordo 

E noi, borghesucci di sinistra basso protestanti (nel senso che abbassiamo lo sguardo durante le proteste) noi che continuiamo a sognare una Ford mustang del1976, una cucina Ikea, la compagna o il compagno per carità più che perfetto, il bimbi, che abbiamo bisogno di Lupin scompigliando le carte cambiandogli colore noi con soppressò tutta la sagra della pseudo democrazia.

Mi sembrano tutte sagre di paese: il politically correct sacrosanto, che pure io sono d’accordo che se cambi il linguaggio cambi il modo di pensare, ma mi sembra sembra che siano tutte distrazioni votate a distrarre dall’unico vero nemico che abbiamo: il capitalismo.

Capitalizziamo pure le emozioni, i sentimenti, l’intelletto, la capacità di discernere le cose. Si, ci sono quei momenti in cui non si tifa, ci sono quei momenti in cui non c’è da schierarsi: anche se dovremmo sempre schierarci dalla parte dei più deboli, dalla parte di chi ha meno privilegi, non per una vera empatia ma per una sorta di solidarietà fra poveri che contrasti le guerre tra poveri. L’unico grande problema è e rimane il modo di sfruttare il capitale, non è più la proprietà privata ma la parola privata (i pensieri), l’avere, l’immaginare di avere, l’immaginare di avere di desiderare di avere.

La gara dei desideri.

Come diceva qualcuno che ho visto in qualche infinito reel sui social: come fai a non stare dalla parte di Lucifero? Un impiegato semplice che un giorno magari si incazza perché è più capace del suo capo, non per forza più bello e più forte come lui, semplicemente più efficiente.

A quel punto che fai? Ti alzi e te ne vai. Lucifero se n’è andato e ha fondato al sua azienda, azienda in cui spero di a farmi assumere, mi ci vedo proprio con la coda e il tridente.

Un’azienda che fa il lavoro sporco al posto di dio. 

Come si fa a credere a un dio che delega il lavoro sporco a uno che lui stesso ha fatto  passare per antagonista?

Dio non fa un cazzo, sta lì a ciondolare nel suo paradiso perfetto con il suo desiderio di anime perfette e tranquille che non gli rompono i coglioni in paradiso.

Nel frattempo l’AI mi suggerisce questo:

“In un mondo digitale, lei era una musicista dal talento straordinario, ma la sua fama era alimentata principalmente dal suo esibizionismo sui social, mostrando il suo corpo per guadagnare successo. Nel frattempo, lui era un socialista utopico, sognando un mondo più giusto e equo per tutti. Nonostante le loro differenze, il destino li fece incontrare , lentamente, lui la aiutò a scoprire il vero significato dell’arte e della solidarietà. Insieme, combatterono per un mondo migliore, unendo la passione per la musica e la lotta per una società più equa.”

Si, Chatgpt, si. Ho una sola parola per te: Suffuru!

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.