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Millennial Pause aka Mi sono fermata

di:

Come i pit stop
Come la pausa all’autogrill
Come il tempo di riposo per far lievitare gli impasti: mi sono fermata

Ebbene sì: ho saltato un mese. No, non nel senso “gravido” del termine, per carità, ma quasi. Ho saltato una pubblicazione, un pezzo per The Clerks, per la non gioia della capa <3 e per la non gioia mia, certo.
Quindi di tutto l’elenco di pezzi mensili, nel mese di aprile 2024 la Rubricosa non c’è, puf, un salto. Tra marzo e maggio non c’è niente. Ma certo, nella vita reale (dando per buono il senso che comunemente diamo al “reale”, che non esiste, lo sappiamo, dai) c’è un’ infinità di roba.
Le ragioni del salto sono importanti ma forse futili, è sempre un punto di vista maledettamente personale, come tutto quello che ha a che fare con il dolore, l’amore, il bisogno di dormire, di mangiare, di non mangiare, di fumare, di correre. A questo proposito, mi basti dire che ho saltato non uno, ma almeno tre appuntamenti con la corsa. Di quelli prefissati, di quelli importanti per chi fa della corsa una routine e della routine una corsa.
Le pause ci vogliono, lo sanno tutti. Il vero dramma è che io non mi sono mai fermata realmente, né con la testa né con il corpo, ed è proprio questo il paradosso: quando mandi avanti tutto, qualcosa salta sempre, magari proprio quello che non vorresti.
Non è un caso, credo, che proprio stamattina una delle prime notizie che mi sono balzate all’occhio tra un caffè e un “devo assolutamente scrivere il pezzo per maggio” riguarda la Millenial Pause.
La Millenial Pause, ovvero la pausa dei millenial. Chiaramente mi è quasi andato di traverso il caffè, nel constatare i livelli di profilazione che sono stati raggiunti e che nella mia testa figurano come tanti Umpa Loompa che ci viaggiano dentro, accanto ai globuli rossi, solo per vedere che diamine combiniamo. I miei ovviamente saranno andati in allarme quando hanno notato una carenza di corsa e le endorfine prosciugate come pomodori secchi su un cesto di vimini. Così avranno deciso: “intasiamole la bacheca di news a tema millennial – vecchiaia – incipiente ma inconsapevole – inserzioni su costumini allegri” ed ecco qua: la Millenial pause. Che altro non è che quel saltino, quell’attimo di stasi che a quanto pare i millennial hanno ereditato dall’era analogica e che li porta sempre ad aspettare un attimo più del necessario prima di parlare in un video, in un vocale e simili. Proprio una di quelle notizie “leggere”, all’apparenza irrilevanti che all’inizio ti fanno dire “vabbè non sanno più che inventarsi pur di scrivere un pezzo”. Poi però più leggi e più pensi “però sai che in effetti…” e ti ritrovi ad analizzare il tuo rapporto con i social negli ultimi dieci anni e ti dici che sì, un po’ di ritardo ce l’hai. Del resto io mi sono creata un account Fb nel 2013. In ritardo tra i ritardatari.
Ad ogni modo direi che la valenza metaforica di questa analisi è più interessante dell’analisi stessa: siamo in ritardo di un passo rispetto ai tempi. E rispetto ai tempi, un passo è tanto, perché esattamente come nella corsa: ne va del ritmo generale.
Siamo allineati alla società ma con poche certezze, poca stabilità economica, poca stabilità relazionale, poche possibilità di essere davvero, del tutto indipendenti e realizzati.
Magari lavoriamo ma da precari, forse non viviamo con i genitori ma con un coinquilino perché casa da soli costa troppo; magari abbiamo figli ma ce li mantengono i nonni. Sembra tutto in equilibrio ma manca un pezzo, un passo. Magari alla generazione Z andrà meglio, ma il fatto che siano cresciuti con l’idea di un futuro tra continenti sommersi e pandemie mortali mi fa dubitare. Noi abbiamo vissuto il berlusconismo, questi l’apocalisse.
Dev’essere per questo che noi ci facciamo ancora i selfie con le smorfie da finti scemi – finti sorpresi -finti fighi e loro invece sempre con ‘sto muso all’ingiù, sopracciglia alzate e lo sguardo incazzato: e chi ha il coraggio di dargli torto?
Io no. Ma proprio non mi va di mettere il broncio. Hanno ragione loro ma a me non va lo stesso. Deve essere a questo che servono le pause: a capire che hai torto e non potrai mai avere ragione, allora tanto vale fermarsi un attimo, farsi una selfie per avere memoria di sé e del casino che siamo diventati e tirare dritti. Verso cosa, non si sa.