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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

24. DEL DIRE, DEL FARE, DEL BACIARSI, DELLA LETTERA E DEL TESTAMENTO

di:

Immagine di copertina a cura di:

GIORGIA SANGINETO, LOREDANA BALAN, CARLOTTA PETTAZONI

3C Liceo Artistico “F.Arcangeli” di Bologna

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L’occasione fa l’uomo ladro. L’occasione fa l’uomo lardo. L’occasione fa l’uomo dardo. L’occasione fa l’uomo tardo. Sarei un codardo a non inserire anche la donna in questo discorso e non vorrei essere frainteso utilizzando la mia libertà di espressione per deresponsabilizzare le donne da tutti i modi di dire che coinvolgono l’uomo. Non vorrei veicolare il messaggio sbagliato, ecco: il messaggio sbagliato. Preferisco massaggiare il cervello come si stimolavano i pods in ExistenZ (1999, regia di David Crononberg), alimentarne il metabolismo e ricondurre con poche semplici parole al senso della reciprocità dei concetti. Gli inetti e gli infetti potrebbero averne da ridire.

Gli anaffettivi potrebbero sentirsi chiamati in causa solo per cementare la loro convinzione destinata a contrariare l’interlocutore. Quante ore saremmo in grado di giocare un gioco che ci coinvolge pienamente? Quelli che sostengono che possa essere “per sempre” godono della stima di quelli come me, convinto che ogni secondo possa essere per sempre non fosse altro perché non sappiamo di preciso quando ci spegneremo. Quelli che sostengono che non si possa fare granché, preferendo un lasciarsi andare forti delle possenti ali che affondano sulle loro spalle larghe, godono della mia stima. Quelli che fanno finta di niente godono della spina nel fianco che ognuno di noi potrebbe rappresentare nel rapporto di interdipendenza masochista che gli appartiene. Quelli che si accorgono di tutto dovrebbero lavorare nella programmazione del gioco e non rubare ai più curiosi quel poco tempo prezioso che gli è concesso.

Ammetto di voler rivendicare il mio diritto di non voler giocare mentre tutti giocano, di non voler ballare mentre tutti ballano, di voler star zitto mentre tutti parlano parlano parlano… Non ho mai sentito nessuno paragonare un dialogo ad una gara di decibel, quello accade alla sagra dei rutti. Non ho mai letto solo ciò che c’è scritto perché mi è sempre piaciuto dare una seconda possibilità. La possibilità di sbagliare, la libertà di sbagliare, il diritto di sbagliare. La Cosa (1982, regia di John Carpenter) giusta è un mostro coercitivo truccato da make-up artist pieni di trucchi e pennelli ma privi di fantasia. Non so che cosa sia a fare di un make-up artist un make-up artist ma non credo abbia a che fare con cose che si possono comprare. Nessun rossetto è più importante del bacio che potresti darmi, chiudendo gli occhi e avvicinando le tue labbra morbide alle mie labbra sorridenti fin tanto che dalla loro leggere apertura non entri il tuo respiro. Siamo vivi. Siamo veri.

Sembra ieri che una maestra della quale ricordiamo il nome ma non il volto ci faceva riempire pagine e pagine di lettere di un alfabeto mordi e fuggi. Scappiamo dai tranelli per finire in altri tranelli. Ci perderemo i capelli. Dopo quelle di quello dei make-up artist, ci tireremo dietro le ire del sindacato dei parrucchieri. Resterei di stucco (Le avventure di Barbapapà, 1973, diretto da Talus Taylor e Annette Tison) se non sapessi che è solo un vecchio trucco per nostalgici di un certo innocuo umorismo in cui il ceto innocuo finge di lasciare il ceto per l’incerto con l’intento blasfemo di provare a vivere oltre i propri limiti salvo poi rafforzarne le mura. Il pianto è una discussione tra me e me (L’ultimo uomo sulla Terra, 1964, regia di Ubaldo Ragona).

Raccolgo le lacrime in un bicchiere e le uso per fare un caffè che mi terrà sveglio per i prossimi 6 anni. Ho abbastanza soldi per pagare il conto dei danni. Ho abbastanza soldi per invitarvi tutti al banchetto che porterà al caffè. Ho abbastanza soldi per pagarvi il viaggio per arrivare fin qui, ospiti del mio banchetto. Ho abbastanza soldi per pensare che i soldi non servano e che il viaggio si possa fare, la tavola si possa imbandire e il caffè di possa rifiutare.

L’invito è tutto: siete tutti invitati all’apertura del testamento. Il notaio ha in consegna un sacchetto pieno di lettere: una per ognuno degli invitati. Le buste sono colme di lettere dell’alfabeto in forma di coriandoli. Agli eredi la libertà di lanciarli in aria e farsi piovere addosso la libertà di prendersi ciò che vogliono.