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Rubrica per quelli che credono che i dettagli facciano la differenza, ma non hanno capito l'argomento principale.

01. DEL DESIDERIO

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L’inghippo di un desiderio è che spesso quando lo realizzi poi ne cerchi un altro. La vita passa da queste cosette, si nutre di queste minuscole particelle di plancton per la mente, servono per farla continuare ad andare avanti. Chiariamoci: è bellissimo che sia così.

Guardando, in rigorosa solitaria, The Lighthouse (USA, 2019, regia di Robert Eggers) mi sono ritrovato a vivere su quello scoglio insieme ai due protagonisti. Come già ci aveva spiegato Stephen King con Shining, e chiarito poi con i suoi sguardi Jack Nicholson nella seconda parte dell’adattamento cinematografico di Kubrick, l’isolamento è una gran brutta bestia anche se chi lo vive fa finta di non riconoscere il potenziale della bestia che è, che siamo.

Nell’isolamento i dettagli diventano il motivo di attenzione principale dello scorrere del tempo, come se ci si affidasse ai piccoli cambiamenti delle piccole cose, di piccoli oggetti, per distrarci dai grandi cambiamenti che avvengono in noi. Siamo in pandemia mondiale da un anno, immagino che non serva fare lo spiegone in merito a qualcosa che in un modo o nell’altro ognuno di noi ha vissuto, sta vivendo e si troverà ad affrontare per ancora qualche tempo.

Nell’isolamento, il meteo ha un ruolo importante; potrebbe, per esempio, costringerti a stare su quello scoglio per molti più giorni di quelli preventivati. E se a volte lasciare fare al caso è un modo per mettere sul piatto la nostra tempra personale, è da riconoscere che gli strumenti di cui ognuno di noi dispone giocano un ruolo fondamentale nel divenire di quel rischiosissimo gioco che è la vita, che è fatta di desideri. Cosa si è disposti a fare per raggiungere l’oggetto dei nostri desideri? Quanto il desiderio ci accieca, come ci acceca la luce di quel faro?

Nel film è chiaro lo scontro tra i due protagonisti che non si nascondo troppo all’altro: il vecchio Thomas difende la propria conoscenza dal giovane Ephraim che, sempre più consapevolmente, punta a quella conoscenza, punta alle chiavi per accedere al faro. Lo scontro è totale, in questo ristretto nuovo mondo in cui il passato dei due torna come il ricordo lontano di una vita “precedente”, altra, estranea. Torna come non facesse parte della vita in quel luogo e, anche se è vita reale e vissuta, quasi non conta più.

Le minacce di Thomas, che relaziona dell’operato di Ephraim scatenano la reazione del giovane che urla un “Mi vuoi rovinare?”, sembrano solo un flebile appiglio a quella realtà oramai lontanissima da entrambi; sembrano qualcosa di necessario per farli rimanere con i piedi per terra di fronte a una vita fatta di incubi in cui ammalianti sirene li irridono e i gabbiani sono concreti fantasmi che inquinano il percorso del desiderante nel raggiungimento del proprio desiderio, che è Sapere, che è Vedere.

Lo scontro tra le opposte visioni di quella vita si inasprisce e mi tornano in mente le parole di Gustav Mahler “Tradizione non è il culto delle ceneri ma custodia del fuoco”.

Il fuoco in questo caso è la luce del faro. Lo scontro che tra i due diventa totale e ne definisce i ruoli. Cosa si è disposti a fare per raggiungere l’oggetto dei nostri desideri?

Il custode Thomas soccombe al desiderio del giovane Ephraim, che resta a sua volta vittima dell’insopportabilità abbagliante del raggiungimento del desiderio. Dubito che possa aver decretato lo spegnimento di quella fiamma, di quel sapere.

Mi piace immaginare che questa narrazione ci inviti a prestare attenzione ai tempi e ai mo(n)di in cui siamo pronti ad accettare più di quanto noi stessi siamo capaci di comprendere, anche perché il sapere assoluto ci porterebbe a quello che abbiamo già detto essere la fortuna dei desideri, che una volta realizzati metti da parte per rincorrerne sempre un altro. Ed è bellissimo che sia così.

In The Lighthouse ho visto un uomo sterminare la razza umana presente nel suo mondo per raggiungere il Tutto dell’oggetto del proprio desiderio.

Poi mi sono guardato riflesso nello specchio e mi sono detto che la solitudine in due è troppo affollata.