...

Livori quotidiani, quelli classici. Solo che dalla routine quotidiana noi ne parliamo in termini social-musicali. Si, tutti fenomeni di costume più o meno italici ma soprattutto tratti dai usi e costumi dei social che provocano allergie, fastidi, singulti, movimenti peristaltici, etc. Ma si parla anche di tutte quelle musiche che fatichiamo ad accettare o non abbiamo più l’età per ritenere speciali: una scena che scena non è mai stata da qualche parte remota o nella città in cui si fatica a vivere. Figurati quella indipendente, che è tipo il mainstream ma con meno zeri nei cachet!
Riflessioni poco ponderate (si, il controsenso certo, ovvio), scritte a raffica durante insonnie da weekend, farmaci per il reflusso/gastrite inerenti il mondo della musica italico, i (mal)costumi dei social che sembrano l’avanspettacolo da tv locale di tanti anni fa.
Mi correggo: il cabaret è meglio di questa farsa imprenditoriale moderna, che va bene eh, ma vi state portando i coglioni con le pari opportunità che vogliono i poppettari (o polpettari secondo la terminologia catanese)dal basso che vogliono essere manipolati, ma compiacendosi.
Vabbè, ne leggete uno al mese dei LIVORI QUOTIDIANI.
Se non gradite questa rubrica all’interno di questa - suppongo - rispettabile webzine, lamentatevi con il caporedattore.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

...

Livori Quotidiani-L’appendice romanzata 2

di:

Capitolo secondo: Febbraio, San(t)remo, il carnevale.

LIVORE D’OPINIONE

L’idea di base è sempre stata quella di creare una comunità. Ancor prima di appartenere ad una comunità, ma raggiunta la capacità di fondarne una, e vissuto le delusioni sistematiche che ne hanno posto le basi, c’era un percorso da affrontare, gustando appieno le asperità.

Una comunità non è un insieme di persone che condividono le idee e vanno d’amore e d’accordo, una comunità è un insieme di persone che per interessi comuni e istinto di sopravvivenza si trovano a dialogare e ad affrontarsi per raggiungere un obiettivo comune. All’inizio è una band, poi diventa un’etichetta musicale adesso una rassegna musicale, senza pensare mai, nonostante lo si ripeta sempre per darsi coraggio, che l’età e lo status sociale ne possano condizionare lo sviluppo.

Credo che con Disclosure finalmente l’ultimo step è stato compiuto. L’utilizzo del vile denaro per proporre qualcosa di culturale. Perché innanzitutto una comunità deve essere basata su una cultura condivisa. Le alternative al mainstream capitalista fondamentalmente.

I partiti mainstream.

La musica mainstream.

Il vestiario mainstream.

Essere contro il mainstream è fondamentalmente un atto insurrezionalista (non utilizzerò mai la parola rivoluzione in questa pagine perché provo fortissimo imbarazzo nell’usato tale parola  anche se il succo è quello ma tant’è) e ci vuole coraggio, non per ribellarsi, ma per insorgere.

Basta con le mode. 

In un brano nascosto su una piattaforma di streaming online cantavo “la moda delle mode è quella di schierarsi”:

Appena mi dedicai in questo divertissement subito gli amici, ma soprattutto i nemici, che ebbero modo di ascoltare mi paragonarono a qualcun altro. I tempi non erano maturi, nessuno capisce che procedere per mimesi, seguire un esempio, è segno di evoluzione perché porta a formulare pensieri altri rispetto alla sbobba mainstream (al momento è ancora cash sessismo macchine potenti con batterie ipertrofiche) che le radio ci predicano ogni giorno. L’ossessione della contemporaneità mi manda in bestia: il sintomo dell’idiozia e del non guardare agli esempi siano essi mainstream o pseudo alternative.

Una comunità nasce dal dissenso verso il mondo che ti circonda, una comunità non si basa sull’essere il primo della classe, una comunità si basa sull’aiutare l’ultimo della classe.

Una comunità, la comunione di idee, si basa sul condividere. Il socialismo, questa brutta bestia che odiate perché persi nei meandri dell’esibizionismo capitalistico (capitalizzate la vostra immagine ergo siete poveri veramente) ma che è l’ultima speranza della specie. Una comunità si basa sul condividere pensieri e rispettare l’esperienza, sulla reciprocità dei ruoli. Esempio personale la mia piccola trovata associativa, ovvero Doremillaro: 10 anni di entusiasmo (non più adesso) giovanile e di condivisione di idee musicali, basati su un forte senso di appartenenza che sulla condivisione totale. Ci vuole sempre qualcuno (che l’individuo con le sue peculiarità e caratteristiche è in fondo sempre la base della nascita di una comunità) che catalizzi l’energia, che porti il flusso a convergere per portare del cambiamento nelle vite degli individui, è la funzionalità che ci appartiene come specie. In cui tutti in realtà sono reciproci nel catalizzare. È un hub di energia psichica definita intenzioni, fatto sta che a un certo punto matura, perché altrimenti è impossibile sopravvivere.

I cambiamenti epocali arrivano con le crisi sia come macrosistema di specie sia come individui. Il capitalismo si basa sull’esatto opposto. Andor forse la migliore serie di Star Wars  – seppur asservita al dio capitale – tutto ciò nel mondo mainstream lo descrive bene: l’impero fa schifo e reprime la libertà.

Ovviamente il teorico, il ragazzino che scrive il manifesto lo si dipinge come debole e muore male.

L’eroe è ultraterreno, l’eroe ha delle molecole strane nel suo sangue, possiede il divino.

Non puoi cambiare un cazzo se sei povero, nel senso che lo farà qualcun altro, più forte, più fortunato e che magari ha ereditato qualche casa dalla propria famiglia.

L’unico modo per cambiare le cose è eradicare la povertà, povertà culturale nel mio piccolo, nel nostro piccolo di tutti quelli coinvolti, chi bene, chi male.

È spesso un eterno dibattito quello che si consuma all’interno della comunità ma lo sforzo comune fa sì che si cambiano nel mentre gli obiettivi, costruire una comunità ha più a che fare con l’esperienza di struggersi nel farlo che nel momento in cui si è ottenuto il risultato. Vedi questa stessa blogzine.

Il risultato è nello struggersi, nel discutere del fare, non nel risultato finale.

Quello è il capitalismo. Che ti fotte.

E senza soldi non si canta messa perché non si cambiano le cose dall’oggi al domani, prima crei una comunità culturale, non consenso social effimero, dopo crei le basi per ridefinire il concetto stesso di cultura.

Vediamoci ai concerti belli, andate anche a quelli mainstream camuffati da alternativi (rockit.it ci ha creato un establishment nel creare un mainstream più piccolo ma implodendo visto che oggi ti chiede soldi per le recensioni d perde lettori), ma non perdete mai il senso della comunità, del cambiare qualcosa che sta attorno a voi che la rivoluzione non si può fare senza le basi.

La base è la Comunità. Non abbiate paura di sentirvi comunisti nel senso che vi piacciono le cose in comune, questo è essere comunisti, quelli che si indignano per una battuta non politcally correct non sono comunisti, ma solo delle teste di cazzo individualiste che agognano potere e sfruttano lo storytelling capitalista mainstream per darsi delle arie. Ipocriti. Gli individui sono fatti per incontrarsi discutendo non per rimanere soli compiacendosi delle due ultime righe scritte su un social network per vecchi (facebook – nda)

E anche se ci sta un po’ sul cazzo prendere per mano quelli che si isolano perché sciocchi, perché fa molto cristianesimo da quattro soldi, sforziamoci di farlo perché ogni compagno cretino salvato è una risorsa per la comunità in più. Dirà sempre le sue minchiate perché è lento e non riesce a staccarsi dalla dottrina autoinculcatasi ma potrà essere utile.

Dicevo di Disclosure: tre concerti in tre mesi, musiche diverse ma accomunate da una forte componente elettrica ed elettronica che mi piace chiamare elettrotronica, un rischio che forse chi partecipa all’impresa non si può manco permettere, ma sapete meglio di me che quando ci si stanca si deve provare a cambiare qualcosa, fors’anche abbandonare la propria comfort zone. Che a tuonare stronzate da casa perché ci sentiamo soli e in cerca d’attenzione siamo bravi tutti.

Ci vediamo lì tra il palco e il bar, il luogo migliore.

Chiosa finale epica da fatality: 

“Avere follower non crea una comunità ma un culto quindi il male: una religione sponsorizzata da predicatori opportunisti”.

Sbram! (Ovvero andate a quel paese!)

LIVORE ROMANZATO D’APPENDICE

Capitolo primo – parte seconda (forse)

Ian non aveva assolutamente voglia di alzarsi dal letto ma Giada ora era sveglia ed era una di quelle mattine in cui era chiaro avrebbe preteso qualcosa.

-“Alzati fai il caffè dai, lo faccio sempre io”

-“È casa tua, e non so manco dove tieni il caffè, inoltre non capisco perché non hai una macchina del caffè come quella mia dei capitalisti cattivi della Nestlè dove basta premere un tasto e aspettare per avere il caffè già pronto dentro la tazzina. È sabato rimaniamo a letto, dai.”

-“Dai tu! Fai il caffè!” Ripete Giada con un tono stizzito e lagnoso che a Ian parse tipico dell’età prepuberale.

-“Va bene d*o c**e” rispose Ian continuando “ma non andare a raccontarlo in giro vantandoti che mi fai fare quello che vuoi, sarebbe puerile anche se ti farebbe prendere punti con le tue amiche, non mi tieni in pugno, anzi apri la mano, guarda, lo vedi quel pugno di mosche?”

Giada inveì qualcosa tipo “testa di cazzo” ma ridendo al tempo stesso. Ian si recò in cucina per preparare il caffè

La sua voce urlava dall’altra stanza scandendo indicazioni sul dove trovare gli ingredienti per fare il cazzo di caffè con quella macchinetta di stampo classico, di quelle con lo stantuffo da sbattere (il termine credo non sia neanche questo) per svuotarlo dal fondo del precedente caffè fatto e l’aggeggino per pressarlo.

Inserire girare et voilà. Puro orgoglio della tecnologia italiana per fare l’espresso.

Alla fine, pensò Ian, non fu così difficile prepararlo.

Giada aveva la faccia radiosa adesso, erano bastati due biscotti e il caffè portati a letto. Misteri dell’animo femminile.

Ian cominciò a pensare che a causa del caratteraccio di lei forse era la prima volta che qualcuno si impegnava genuinamente e continuò pensando che erano i tipici pensieri che formulavano gli sceneggiatori delle telenovelas cult anni ‘80 prima di rituffarsi nel letto.

Giada era di buon umore e si applicarono con impegno nel classico rituale di accoppiamento umano, non senza le buone dosi di imprevisti e imbarazzi che di solito comporta la prassi del fare all’amore la mattina, ovvero senza quella libertà dai freni inibitori tipica di chi fa all’amore quando torna a casa dopo aver alzato il gomito.

Ian pensò – alla fine dell’amplesso – che alla fine forse erano più veritiere le telenovelas anni ottanta che i film impegnati di Ken Loach, ma scacciò quel pensiero perché Giada si era alzata e questo avrebbe comportato la fine del restare in panciolle e dover dedicarsi a qualche attività impegnativa.

Con gli anni era diventato un po’ più pigro, odiava gli imprevisti, ma in fin dei conti era quello il vero motivo per cui si trovava in quella casa: con Giada non ci si annoiava mai nonostante, in fin dei conti, poteva smollarsi un po’ ed evitare quel nichilismo da quattro soldi che ovviamente aveva già fatto proseliti lungo la vita di lei.

Tutti abbiamo bisogno di proteggerci penso Ian, si stiracchiò e cerco con la mano i pantaloni: era ora di alzarsi da letto.

LIVORETTO D’EPILOGO

“Brutta produzione altissimo consumo, la musica è stanca non ce la fa più”.

Cazzo quanto suona attuale Battiato oggi, soprattutto in questi giorni in cui patiremo Sanremo e le lagnette salmodiate dei protagonisti del bel canto. Che forse era meglio quando era solo bel canto mentre oggi si canta a cazzo d i cane ma senza fare punk. Mah, comunque sicuramente ne approfitterò per qualche spunto interessante per i prossimi livori. E poi chissà come sarà il romanzo d’appendice durante Sanremo. A Giada piacciono i Baustelle (e anche a Ian).

Ah, hanno arrestato il boss, si aspettiamo la fiction o che sarà tipo “Il capo del capo dei capi” in cui il male non verrà evidenziato ma si contribuirà a creare un figura mitologica che mieteva vittime e scioglieva bambini nell’acido perché non poteva sottrarsi.

Mi è venuta la voglia improvvisa di smettere di pagare le tasse. 

Bah.

Ve lo siete già dimenticati il Rolex, il Casio, la Ferrari e la Twingo.

Io ho avuto una twingo appena presa la patente nel ‘98, a diciotto anni.

Sedili posteriori reclinabili, in pratica un letto su ruote; con alcuni accorgimenti era perfetta per, beh, avete intuito.

Ciao Shakira, niente ti volevo dire che scopare dentro una Ferrari deve essere una esperienza terribile ma scopare dentro una twingo (che è praticamente ‘sto letto su ruote che dicevo) beh, per noi poveri è stata un’era indescrivibile.

L’ho regalata ad un’amica quando l’inutile cruscotto digitale segnalava duecentottantottomila chilometri circa percorsi.

Qualcuno mi dice che ancora circola.

Orizzonti Perduti è il più bel disco di Battiato, nonostante non lo abbiano capito in molti.

Ma si sa che sono circondato da ignoranti musicali che parlano parlano e capiscono meno di una sega di musica.

Tornare sul palco con Mapuche mi ha ricordato la fisicità di indossare uno strumento, si bello fare elettronica ma non c’è paragone nell’avere il basso elettrico addosso. Mi fa male la schiena, che sono un vecchio di merda e dopo cinque live il mio corpo mi ricorda che la mia spina dorsale è un po’ storta e che dovrei fare pilates. Ma manco per il cazzo, odierò per sempre il fare attività fisica, è una roba da vivere durante l’adolescenza. Meglio una pinta.

Undicimila battute in un’ora e mezza di insonnia e non sono neanche le quattro.

Gente senza capelli che mi accusa di avere la pancetta alcolica.

Gente di sessant’anni che mi accusa di avere la pancetta alcolica.

Tutti alti un metro e un succo di frutta e, non vorrei farglielo notare, ma è comodo sfiorare il metro e novanta, un po’ meno per il portafogli visto che sento la vodka solo dopo 5 vodka tonic.

E tu quanto sei figo quando fai notare agli altri i loro difetti fisici? L’ho detto in passato, c’è chi può fare il body shaming al contrario, potrebbe essere l’inizio di una comunità virtuale.

Pace, amore, socialismo.

Ci sentiamo a Marzo per parlare di febbraio, ma soprattutto rimanete sintonizzati cari lettori (sono convinto di non averne ma dice che ci stanno) che sto per scrivere assieme all’altra commessa di The Clerks (tale Enrica Orlando) una roba sull’amore al tempo delle app di dating, delle A.I. che scrivono per te e della parte animale dell’animo umano che non vogliamo più conoscere.

Ah, gira un meme che apprezzo tanto su Sanremo, ha a che fare con gente vestita in modo assurdo per sopperire alla mancanza di talento.

Il glam rock ve lo sognate teste di cazzo, andate a lavorare piuttosto.

BONUS:

Anche quest’anno Sanremo ce lo siamo tolto dai coglioni, più la società fa cagare più sta sagra di paese raccoglie proseliti.  

È un problema culturale e non è neanche stata la peggiore edizione. Bravo Angelo Duro che ha riportato a casa degli italiani la tematica di “quelli che ben pensano”, bravo Fedez, anche se un po’ forzato, ma strappare la foto di quello lì, beh, liberatorio. Fedez meglio della Ferragni ovviamente. 

Non so voi ma a me tutto questa voglia di mainstream mi fa soffrire. 

Ah, la bassista dei Maneskin vale l’intera band anche se odio chi suona il basso con le dita. 

Lemmy non avrebbe approvato e Lemmy è l’unico Dio del basso elettrico. 

Il fricchettone col fretless ammetto che mi è sempre stato sul cazzo, poi manco lui, buonanima, ma gli adepti del culto, i fanatici, come al solito i religiosi. 

Bene pitchfork, mi vien da ridere, che fa quello che doveva fare: palesare il prodotto televisivo. 

Il rock è morto, e forse sto per rivalutare Sandinista dei Clash.

Ah, basta con l’ironia da chiesa e PD. La modifica è semplice quanto molto più romantica e struggente:

Se io lavoro è per tornare a casa da te” 

Che se fossi stato ricco non avrei avuto manco bisogno di andare a lavorare. 

Saremmo sempre stati assieme (ok ok sto esagerando), ma ho imparato una cosa dalle tante relazioni finite male: chi non lavora non fa all’amore

Ma tant’è che l’ipocrisia vince sempre, sapete perché? 

PERCHÉ È PIÙ FACILE DOMINARE CHI CREDE CHE NON CI SIA UN’ALTERNATIVA. 

Immagine di copertina di Mirko Iannicelli.