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Ekbom, implacabile racconto di momenti della vita

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Vorrei tanto riportarvi la descrizione che la band fa di questo album ma finirei per non scrivere nient’altro, quindi lascio a voi la lettura dal loro Bandcamp e al momento vi riservo quel che è venuto fuori dopo una chiaccherata cibernetica con gli Ekbom, band mathcore-grind di Trento. Il primo disco, selftitolato, degli Ekbom è uscito a metà settembre ed è capace agevolmente di strapparti la faccia con le sue 9 tracce più intro. Dopo un periodo come duo strumentale, la band prende la sua forma finale nel 2021 colpita come altre dalla pandemia e il blocco della vita. Reduci dalle esperienze pregresse oscillanti tra death metal ed hardcore punk, finalmente incanalano i propri gusti liberamente in qualcosa di tutto loro. Il risultato? Dilaniante mathcore con tirate grindcore, la cifra stilistica la fa la chitarrona a molte corde di K, alternandosi tra suoni grossi djent e distorsioni acute che terminano in suoni quasi sintetici e strazianti. Tutto questo esaspera ogni sensazione, la batteria di P, al limite tra lo sporto olimpico e la composizione, martella incessantemente accompagnando la chitarra in tutte le sue storture ritmiche. Nel mezzo di ciò, c’è la voce di F, dinamica quanto tutto il resto, passa dal growl alle urla allo screaming contribuendo alle sfaccettature sonore del disco.

Dopo una breve intro, il disco si apre con Il colore dell’ombra, pochi colpi di rullante e ci si ritrova nel pieno della furia degli Ekbom. In poche decine di secondi si snocciolano le peculiarità di questa band, l’estrema dinamicita dei brani, la miscela di parti mathcore e grind/hardcore punk e gli incastri di batteria, chitarra e voce. Tra i brani del disco spiccano Per un pacchetto di cracker, capace di farti sentire calpestato con la sua intro per poi lanciarti in un pogo sfrenato in qualsiasi momento della tua vita ti trovi. Baratro d’ovatta è forse la bandiera del disco che ripercorre il messaggio trasmesso dalla band “… quando il rumore si placa e la realtà si mostra abbi la forza di guardarti allo specchio. Di osservare il furto del tuo futuro dell’inesorabile mercificazione del quotidiano. D’indagare la distanza fra una cosa e la sua rappresentazione. Di saper distinguere te stesso dal mare che ti circonda. Infine, annusa. Questo è l’odore del nostro tempo. L’odore dell’ovatta“. Carta masticata forse tra i brani più diretti ma il cui mix voce/chitarra da perfettamente la sensazione di cui parlava Karl-Axel Ekbom quando descriveva la parassitosi delirante, con i suoi insetti sotto la pelle, in realtà generati dalla mente.

foto di Stefano Pacetti

Le storie di questo disco si dissociano dalla dialettica classica del grind e tendono quasi all’emotivo (senza offesa eh). Parlando dei testi, F mi racconta “Parlano di fasi: la fine di una relazione, i pensieri prima di addormentarsi, degli amori non corrisposti. L’incompatibilità tra persone e i modi per farsela scivolare addosso. La sensazione di essere derubati del futuro. Devo ammettere che è liberatorio avere la possibilità di poter urlare i propri dolori. Ma rimangono questo, uno sfogo. E poi, alla fine, spero che ognuno ci possa trovare il suo senso, in base alle sue esperienze. Anche chi osserva fa parte del contesto.” E senza dubbio un concerto di Ekbom non può che coinvolgere/travolgere chi lo ascolta.

foto di Stefano Pacetti

Dal primo disco degli Ekbom si sente chiaramente che hanno colto la direzione in cui volevano andare, incastrati come nei loro brani dalla sintonia e l’intesa. Sono in 3 e non penso abbiano bisogno di altro. Forse per questo un amico li ha definiti “il gruppo grind più sorridente che abbia mai visto”, quando trovi il tuo loculo in questo mondo non puoi che accovacciarti dentro sentendo il calore di chi ti sta attorno.

Nel futuro prossimo il disco degli Ekbom sarà disponibile anche in formato fisico, fossi in voi li terrei d’occhio.