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Morningviews: atmosfere dense ed emotive

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A quanti di noi è capitato di rivangare il passato, certi che prima le cose andassero meglio, certi che alcuni anni sono stati felici e senza troppi intoppi. A me è capitato e mi sono sempre chiesto se quel che ricordo rappresentasse davvero quello che è stato. Probabilmente no, probabilmente la vita è incasinata dal primo momento in cui capisci cosa succede attorno a te fino all’ultimo istante che ricorderai. I bei momenti, come i brutti momenti, cospargono l’esistenza senza un preciso schema. Dipende da come vanno le cose e da come noi stessi le facciamo andare. In ogni caso trovo una figata poter avere una percezione migliore di quello che è stato, tra le due è meglio avere più bei ricordi che brutti ricordi. In conclusione, potremmo anche dire che quel ricordo bello di vecchi momenti è una finzione, un racconto della nostra vita senza che sia davvero la nostra vita.

Attorno a questo tema gira La Sindrome dell’Età dell’Oro, l’ultima fatica dei Morningviews. Chissà se un tema così malinconico, tra memoria, bello e illusione, viene a tutta la gente di lago come loro che vengono da Castiglione del Lago, sul Trasimeno (dove per altro ho scoperto che anche i laghi possono avere le onde).

Proprio sul tema principale inizia l’ascolto, con il mantra “C’ero una volta dentro alle storie che non ho vissuto” che ne fa da apertura Te, in qualche modo e chiusura in Sirene. Tema per altro ripreso dal sample di Magnolia in C’ero una volta, quel che succede è un caso? Un incidente? O è tutto parte di un disegno?

In questo concept album troviamo 9 brani che uniscono atmosfere ovattate, post-rockose e riverberate con spinte emocore/screamo ad appesantire. Un cantato che ripercorre lo stesso stile della strumentale, ruvido, lontano ma comprensibile. La Sindrome dell’Età dell’Oro rappresenta il primo tentativo di cantato in italiano dei Morningviews, che finora si erano mostrati con un singolo e un EP datati 2018 e 2019. Il disco si articola tra brani sostenuti e dalle riflessioni filosofiche come Sofia, brani più tesi con citazioni dall’incredibile serie di giochi dei Pokèmon (Così confuso da colpirsi da solo). Per arrivare al finalone post-rock di Dentro alle storie che non ho vissuto, che arriva diretto dopo Sirene. Per tutto il disco, come una fisarmonica, parti aperte e dilatate si alternano più compresse e energiche. Un disco che live ti fa scapocciare, forse senza arrivare al pogo più spinto, ma che di certo può avvolgerti con il suo mix di influenze.