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Avalanche Kaito. Morto, torna in vita!

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di Federico Pozzoni, caporedattore di mestolate, lavoratore indefesso, padre, marito.

All’interno della redazione di mestolate – e quando dico redazione di mestolate intendo una chat su un noto social network di boomer, e quando dico all’interno intendo dire nell’intervallo tra un meme sulla sessualizzazione delle ascelle nei manga giapponesi e un proverbio stoico reinterpretato dal chad norvegese; all’interno della redazione di mestolate dicevo, abbiamo più volte discusso di quello che sembra un trend sempre più affermato nella musica internazionale contemporanea, ovvero il fatto che la ricerca della nicchia hipster della coolness periferica si sia spostata verso la periferia del mondo. È il sud globale a essere diventato cool, e non è per forza una cosa negativa, almeno per noi hipster di provincia ormai assurti agli onori delle vibrazioni cittadine.

E’ ad esempio il caso di Debmaster, producer francese alle spalle di Mc Yallah, e di altr* del roster di Nyege Nyege Tapes, collettivo di musica elettronica ugandese fondato da due immigrati (oh pardon, espatriati); così come delle uscite dell’etichetta cugina Hakuna Kulala, e di alcuni artisti indonesiani ormai di casa in Europa come Gabber Modus Operandi e Senyawa.

Gli Avalanche Kaito gravitano in questo universo, ma non sono esattamente uno dei suoi tanti satelliti. Frutto di una collaborazione spontanea tra un batterista francese, un cantante, ballerino e polistrumentista burkinabé e un chitarrista belga, incontrati in sala prove a Bruxelles, è pur chiaro che le luci della ribalta siano soprattutto per il frontman che dà nome al gruppo.

Avalanche = valanga, Kaito, nome del cantante Kaito Winse, partono da “pezzi”, suoni e impulsioni che vengono riassemblate blocco per blocco, spesso con tempi dispari e una maestria di ingranaggio tra chitarra e batteria, tecnicamente pazzeschi, e una voce che tiene fermo il tempo come un basso, si espande e contribuisce all’ipnosi polifonica; il tutto arricchito da un flauto e da un arco elettrificato. E’ musica difficile da etichettare, spazia tra prog, punk-noise, afrobeat, math rock sperimentale e pura poliritmia. E’ musica costruita poco per volta attraverso residenze artistiche e una session KEXP suonata con un piglio da jam band – forse ancora non completamente rodata –  e l’incontrovertibile elemento “urban griot”: cerimoniata da storie cantate in una lingua che non capiamo, da movimenti che vogliono trasmettere energia e dall’evocazione di spiriti e antenati che aggiungono voci di fondo fantasma sopra e sotto il palco.

“Talitakum”, letteralmente “Morto, torna in vita!” è uscito il 12 aprile ed è stato presentato al Bozar di Bruxelles, un centro culturale di quelli dove l* impiegat* vestono in completo scuro e camicia bianca; ad aumentare l’elemento di sorpresa ed estraniamento dell’esperienza concerto, accompagnato dalla mostra dei collage di Françoiz Breut, autrice delle stupende grafiche del disco. In qualche modo, e non so ancora bene dire perché, ne sono rimasto molto sorpreso. Ci ho trovato qualcosa di nuovo, di inatteso, di non scontato. Mi ha scosso, non mi ha lasciato indifferente, ma allo stesso tempo non mi ha profondamente segnato. Credo che bisognerà semplicemente aspettare la prova del tempo.

Intanto, a una settimana dall’uscita, il disco è stato eletto come Album of the day su bandcamp, dove potete trovarlo.