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Come dice il titolo questi sono i consigli di un impostore. Cioè di uno che parla di cose senza averne titolo (come d'altronde fanno tutti i cinefili). Gli scritti che seguono sono pure e pessime opinioni personali, spesso molto offensive. ricordo inoltre che questo è e resta uno scritto umoristico/satirico/cazzeggiante, senza pretese di spirito universale. Se doveste sentirvi offesi (facendo la figura dei fessi) l'uscita è da quella parte (quella indicata dal dito medio)! Have fun!.

I film sono scelti in base al puro gusto di chi scrive. Nessuna coerenza temporale o di argomento. Così è (se vi pare o se non vi pare).

Cosmic Sin 2021 – regia di Edward Drake

di:


ATTENZIONE PESANTISSIMI SPOILERS. NON LEGGETE SE VOLETE VEDERE IL FILM!

È difficile trattenere l’emozione quando si parla di un capolavoro come questo.
Un film che si inserisce di diritto nella categoria del trash più malsano, pur avendo pretese da film di serie A.
Sono talmente tante le cose che non vanno in questo estemporaneo episodio cinematografico che davvero non so da dove iniziare.

Bruce Willis mentre pensa “Mi pagano per sta ca…a!”

L’australiano Drake (eppure dai contenuti avrei giurato che fosse quantomeno texano) scrive e dirige una storia che definire incoerente è fargli un complimento. Verrebbe proprio da andarlo a trovare e legargli due pesi ai testicoli. Drake bissa l’esperienza sci-fi di “Breach” (che a ‘sto punto devo assolutamente recuperare, perché se è come questo, riderò da farmi male) con un Bruce Willis che ormai è preda della più bieca “Sindrome di De Niro”: ripetere indefinitamente lo stesso personaggio diventando, dopo ogni film, la copia sempre più brutta dell’originale. Una specie di Jpeg compresso all’infinito, che perde pixel dopo ogni prova.

Se preso dal verso giusto, cioè ammirando le vaccate e quanto ogni minuto di visione la soglia del ridicolo si sposti più in là, questo film merita assolutamente una visione. Magari con amici, perculando le scene più (in)significa(nti)tive. Vi giuro che non esagero.

La confusione e la sciatteria, sia a livello di sceneggiatura che di dialoghi, in “Cosmic sin” è tale che ci troviamo dalle parti di pellicole immortali come “Virus-l’inferno dei morti viventi” e “Le notti del terrore”: col primo condivide l’assoluta incertezza di che tipo di film il regista volesse fare e col secondo dei buchi di montaggio e narrativi da provocare domande insistenti sulle droghe usate da Drake e chiunque gli abbia dato una mano in fase di scrittura. Il tutto, però, senza avere il fascino del low budget e le difficoltà produttive che potevano avere quei film anni ’70.

Un povero spettatore perso nella sua tristezza.

Già, perché ‘sto film ha un aspetto moooolto patinato, ma davvero tanto (probabilmente la fotografia è l’unica cosa che galleggia in questo mare di liquame narrativo, insieme a qualche passaggio di recitazione).
In alcuni momenti anche i VFX riescono ad essere parzialmente convincenti, in altri sfociano nel template di after effects da dodicimila lire. Addirittura, in un momento cruciale, la nebbia finta si immobilizza palesemente mentre l’attore si muove ancora.

La regia è spesso disastrosa. Idem il montaggio, forse per colpa di una sceneggiatura scritta da scimmie urlatrici. Personaggi che appaiono e scompaiono (tanto che viene il sospetto che gli attori fossero impegnati su altri set e ricomparissero una volta finiti gli altri lavori), per poi riapparire a casaccio senza spiegazioni. col bieco tentativo di cavarsela con uno scambio di battute che persino un monaco zen li prenderebbe a ceffoni forti, ‘sti sceneggiatori.

I dialoghi sono talmente brutti che rivaluti quelli di “Un posto al sole”. C’è addirittura un passaggio a sfondo flirt, protagonisti il personaggio che dovrebbe essere comico e l’immancabile donna dura e disinvolta (trend immancabile in qualsiasi film, soprattutto d’azione) che richiama il mitico “peggior dialogo di sempre” di “Samurai cop” ( e se non l’avete mai visto vi raccomando di andare a dare un’occhiata sul tubo).

“Dai. Andiamo nello spazio con la tutina da jogging!”

La questione dialoghi ci porta al problema più grave, e greve, del film. Un problema brutto come la diarrea quando sei in mezzo alla strada e non ci sono posti dove espletare. Il film sembra scritto da Trump sotto acidi. È l’unica definizione che mi viene in mente. È talmente patria, onore e famiglia, ma con un qualcosa di così incoerente e perverso, che persino i succitati texani direbbero che è esagerato. È militarista (come tutti i film d’azione verrebbe da dire), ma in una maniera talmente smaccata e pretestuosa che non è neanche divertente. Non ha nemmeno quel tentativo di indorare un po’ la pillola che, con classe, ti perpetravano i classici anni ’80 alla “Rambo 2” o “Commando”.

Per tutta la prima parte del racconto c’è un tentativo di giustificare la violenza preventiva (con discorsi del tipo “tanto è così, non prendiamoci in giro, ci vedranno comunque come cattivi”) talmente patetico che sembra che il copione sia una collaborazione fra Barbara D’Urso ed il già citato coso arancione. I tentativi di alleggerire il tutto con le battute fra i personaggi (altro trend fortissimo nei film d’azione, rubato – pardon citato – paro paro fin da Commando), che in altri casi funziona brillantemente, qui fallisce sempre. Con una costanza da stalker rifiutato.

Anche i tentativi di alzare il livello intellettuale, con i riferimenti molto modaioli a Cortes e ai conquistadores, scavano ulteriormente la fossa che si riempie con il latte alle ginocchia dello spettatore.


Più va avanti la storia e peggio diventa la cosa.

I tentativi di giustificare qualsiasi azione di guerra, come uccidere 70 milioni di persone, con una morale (ed il consiglio di mentire e non ammettere mai ciò che si è fatto, tipo un mafioso qualunque) che vorrebbe buttare le colpe su chi la guerra non l’ha fatta (e quindi non può capire) fanno venire spesso voglia di prendere a pugni lo schermo, non potendolo fare direttamente con Bruce Willis (che comunque, per inciso, mi romperebbe il culo).

Quando la tipa dura e disinvolta fa l’elogio del generale sanguinario mi è partito un embolo tale che speravo sinceramente vincessero gli alieni.
Non si vedeva un film così smaccatamente militarista da “Delta force”. Anzi peggio, da “Occhi bianchi sul pianeta terra”. Viene da immaginare che anche dietro ‘sto film ci sia la NRA (National Rifle Association) o qualche committente pro armamenti.

“Scusa? Hai detto Star Wars?”.

La parte più divertente del film, inteso come l’aspetto più interessante, è che non sa e non decide mai cosa vuole essere. Proprio come in “Virus”, sembra che il film sia stato girato in parti poi cucite insieme utilizzando il solito membro di razza canina. Come se durante la produzione si fosse cambiata idee più volte.

Parte come un film sci-fi classico, con qualche velato rimando a cose come “Gunny” o film sui contatti alieni. Nel volgere di un attimo, grazie anche a degli standard di sicurezza che battono il “Prometheus” di Leoortolaniana memoria, si trasforma in un film di zombie, con vaghi sapori alla “28 giorni dopo” più che alla Romero (gli alieni sono parassiti che si impossessano dei corpi degli umani. Si, tipo “L’invasione degli ultracorpi”); poi diventa per pochissimo un film d’assedio, e infine passa a “Stargate” (che, dignitosamente, nel film cercano di non citare, parlando si spacegate), con riferimenti altolocati a cose spicciole come bombe quantiche, trasferimenti quantici e principi della fisica messi lì a casaccio (ma questo, suvvia, lo possiamo anche perdonare và. Non è mica “Interstellar”).

Già in tutta questa prima parte le castronerie colossali si sprecano. Ma dalla metà del film ha un’accelerazione sul fattore M (fattore Minchiata), da fare paura. Vedremo bombe capaci di creare un buco nero trasportate in mano e poi in una borsa protettiva per attrezzatura fotografica (nello spazio ed in un salto quantico. Non su un camion o in auto).


I buoni (con assolutamente plausibili motivazioni come “dobbiamo farlo perché dobbiamo farlo, perché anche se abbiamo attaccato prima noi gli andiamo a rompere il culo lo stesso”) decidono che “sta guerra va fatta perché si” e “col cazzo che comunichiamo al mondo e meno che mai ai politicanti perditempo che siamo in guerra con una civiltà aliena, quindi decidiamo di nostra sponte di andare a sganciare una bomba – buco nero”. Si inoltrano nel loro spacegate con i mezzi giusti. Mega astronavi e cannoni intergalattici? Assolutamente no. Delle tutine copiate male dagli stormtrooper, con un caschetto che tengono solo quando sono nello spazio. Perché mentre c’è da battagliare sul pianeta lo levano, perché, notoriamente, la testa non contiene organi vitali (ed effettivamente, visti i soggetti, il dubbio c’è).

“Dove hai parcheggiato l’astronave?”.


Nella stazione terrestre ci sarà la tuta personalizzata del generale congedato con disonore, ancora perfettamente attiva e con i graffi della battaglia. Tutto perfettamente logico. Come tirarsi le caccole negli occhi.

I terrestri arrivano nel quadrante di destinazione (che era di una colonia commerciale) e trovano una battaglia già in corso fra le navi dei coloni e gli alieni. Passandoci in mezzo, indenni, si accorgono “al volo” che i coloni stanno perdendo, poi precipitano in un ambiente naturalistico boschivo: qualcuno ha detto “Avatar”?!
Qui, dopo l’arrivo dei nuovi personaggi a caso, come la tipa tosta, e il sacrificio necessario di alcuni dei buoni per far crescere il dramma e la tensione, si ha persino un momento psichedelico. Me lo immagino Drake che fa al produttore “…e qua ci piazziamo il momento Jodorowsky, così facciamo vedere a ‘sti stronzi che c’è sostanza!!”.
A tutto questo aggiungete in rapida sequenza che gli alieni parassiti non hanno più bisogno di corpi e si presentano vestiti come i nazgul del “Signore degli anelli”, da che sparavano e combattevano con le lame, la bomba si può lanciare tramite un cannone al plasma ma forse no; Bruce Willis vaga nella nebbia sparando, ma non si vedono gli spari e non si sa a cosa spara; il pippotto del veterano; il sacrificio collettivo che si trasforma nel sacrificio del padre che non voleva portare il figlio in guerra, ma che salverà l’umanità; l’ex moglie di Bruce Willis che, di nuovo gli alieni hanno bisogno di corpi, viene posseduta e lo invita ad unirsi alla popolazione aliena che è davvero guerriera e cattiva e si è impossessata, guarda caso, dell’unica intellettuale del gruppo.
Per non farci mancare nulla, nel finale, dopo averlo già ucciso in una confusionaria sparatoria, si aggiunge un’inutile ed estemporanea scena di menare, che coinvolge il protagonista giovane con la faccia di uno di Cosenza che se le dà a mani nude col capo dei guerrieri alieni vestito come il Dr. Doom, o forse fan degli Slipknot (me lo immagino l’attore che gli dice a Drake “eddai fammela fa na bella scena che ci meniamo col cattivone. Daidaidaidai.”).

“Scusa, c’hai cento lire?”.

Insomma un polpettone incredibile, con praticamente nessuna idea originale (che di per se non è un problema. Dipende da come lo fai, il compitino), che ruba un po’ da dovunque, compresi “Fantasmi da marte” e “Starship troopers”, ma senza avere il fascino dei cattivi carpenteriani o il sarcasmo e la satira militarista implicita di Verhoeven. Il tutto condito di inquadrature storte, slow motion a caporchia, spiegazioni che complicano la trama, dialoghi e riferimenti che confondono ancora di più lo spettatore.


In alcuni momenti ho pensato che ci sarebbe stata una mega svolta inaspettata nella trama.
Perché sembrava tutto troppo.
Invece no.
Drake affonda il film nel ridicolo.
Se l’ha fatto apposta gli voglio bene.
Ma, onestamente, ho seri dubbi

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